L'AMORE AI TEMPI DEL COLERA
 

recensione

 
Riuscire a portare sullo schermo storie tratte da famosi romanzi senza tempo è senza alcun dubbio un progetto che a volte può risultare oltre che ardito, anche rischioso. Mike Newell, regista inglese (“Quattro matrimoni e un funerale”, “Donnie Brasco”, “Mona Lisa Smile”) ha diretto “L’Amore ai tempi del colera”, tratto in maniera letterale dal romanzo del Premio Nobel Gabriel Garcia Márquez. Il film, adattato nella sceneggiatura da Ronald Harwood (premio Oscar- “Il Pianista”), è ambientato nella città di Cartagena e racconta la storia di Fiorentino Ariza (Javier Brdem), un uomo semplice e mite, impiegato al telegrafo, che affida alla scrittura poetica i suoi commoventi sentimenti. Fiorentino si scopre perdutamente innamorato di una fanciulla dolcissima e bella: Fermina Daza (Giovanna Mezzogiorno). Tra i due na-  
 
sce una rischiosa ed intensa relazione epistolare. Fermina presto è attratta dall’amore del giovane Fiorentino e ricambia le sue fervide attenzioni con la promessa di sposarlo. Ma la storia d’amore è fortemente ostacolata dal padre (John Leguizamo) di Fermina, che costringe la bella figliola a sposare il medico Juvenal Urbino (Benjamin Bratt), rinomato per aver abilmente fronteggiato l’epidemia di colera a Cartagena.  
Nonostante questi eventi, Fiorentino seguirà pazientemente le fasi della vita coniugale di Fermina, fino ad attendere mezzo secolo perché la ormai vetusta, da lui amata, “fanciulla” possa cedere alle sue ostinate lusinghe d’amore. “L’amore ai tempi del colera”, rispecchiando il racconto dell’opera di Márquez, è un film che racconta più il sentimento dell’amore, essenza fluida e pervasiva dell’animo umano, che l’amore in se stesso, come storia tra due persone. Il film, supportato da un cast di tutto rispetto, da un’attenta meticolosità nelle rappresentazioni dei costumi dell’epoca colombiana, da un’ottima fotografia e scenografia che rendono egregiamente l’ambientazione e il clima di cinquant’anni di storia di Cartagena attraverso la vita narrata dei personaggi, implode purtroppo in una regia rigida che ha affidato la narrazione a tempi scenici troppo dilatati. Il risultato penalizza non poco la recitazione dei bravissimi attori, che risulta ingessata, privando i personaggi di quel carattere e forza interiore indispensabile a rendere il tutto omogeneo nella storia che li accomuna. Una storia viva, avvincente e piena di sentimento, senza alcun dubbio, rilevabile nell’opera scritta da Márquez, che perde, purtroppo, la sua credibile rappresentazione di storia unica e originale nella messa in opera filmica. Una nota di merito va ad Antonio Pinto, per la delicatezza della colonna sonora, che si accompagna alla perfezione (come sempre d’altronde) alle scene, ai personaggi, nutrendo la narrazione di sentimento profondo, con brani che si caratterizzano in un crescendo di note musicali per esprimere atmosfera, inquietudini e passioni umane.

(recensione di Rosalinda Gaudiano )


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