L'ALTRA VERITA' - RECENSIONE
 
locandina l'altra verità
Locandina "L'altra verità"

l'altra verità - recensione

 
La guerra e i suoi orrori, le sue aberrazioni e le metamorfosi che da secoli l’accompagnano. Il sangue versato per le strade, gli attentati nei mercati, i bimbi mutilati, i palazzi sforacchiati dai proiettili, le colonne di fumo, il fuoco amico, e i danni collaterali. Pensavamo di aver visto tutto dell’inferno iracheno, credevamo di conoscere nei dettagli una guerra che ha mietuto troppe vittime, da una parte e dall’altra. Perché di immagini sui funerali solenni riservati, in patria, ai soldati morti durante l’occupazione in Iraq, con le bandiere e i picchetti d’onore, le lacrime e le orazioni funebri, ne abbiamo viste tante. Eppure, nulla si sa dei civili uccisi, i cui corpi anonimi restano a marcire per strada, vittime di una violenza immotivata, innescata dalla sete di denaro e dalla follia di moderni mercenari che hanno smarrito ogni  
 
senso di giustizia, di etica e di morale. Sulle stragi perpetrate dai soldati delle corporazioni (corporate warriors, o contractors) ex militari congedati dall’esercito e messi sotto contratto da società private che sulla guerra imbastiscono i loro business milionari, è cucito il nuovo film di Ken Loach “L’altra verità” (titolo originale Route Irish). Una pellicola amara e forte, che punta il dito contro chi specula o tenta di insabbiare,   recensione l'altra verità
per abnormi interessi materiali, storie raccapriccianti di violenza fuori controllo e stragi immotivate. “L'altra verità” racconta l'incidente del contractor Frankie (John Bishop), un soldato duro, inflessibile ma sempre giusto, eroe dimenticato del nostro tempo che muore a Baghdad nel 2007 sulla Route Irish – la strada più pericolosa del mondo, quella che collega la Green Zone all'aeroporto. Ai funerali di Frankie, rimpatriato a Liverpool in una bara anonima, senza fanfara e alte uniformi, partecipa l'amico del cuore Fergus (Mark Womack), che oppresso dal senso di colpa per aver convinto l'ex parà ad unirsi per denaro alla sua squadra di contractor in Iraq, non accetta la versione ufficiale dell'incidente. E inizia a indagare sulla morte dell'amico. Solo Rachel (Andrea Lowe), la vedova di Frankie che conosce Fergus più di quanto egli creda, capisce quanto sia profondo e autentico il suo dolore, pronto a esplodere in rabbia cieca. Rintanato in un bell'appartamento senza mobili, con le immagini di tortura e morte che gli tappezzano la mente anche da sveglio (“niente sangue niente peccato” era il motto delle forze speciali americane che lavoravano coi contractor, torturando e uccidendo i ‘turbanti' iracheni al ritmo di musica jazz), Fergus riesce a decifrare i messaggi di un misterioso telefonino che servirà a far luce sull'incidente. Waterboarding e campi da golf, bare scoperchiate e calcetto per non vedenti, spedizioni punitive e lezioni yoga. Tra finzione e realtà, senza indulgere nell'autocompiacimento, il regista britannico abbandona i toni lievi dell'ultima commedia (Il mio amico Eric) per imboccare il sentiero del film di denuncia che gli è più consono. E racconta con partecipato distacco, in bilico tra la contraddizione del conflitto irrisolto e l'ansia per un futuro incerto, una storia d'amicizia che si dipana tra i flashback degli incidenti sulla Route Irish e la sete di una verità difficile da ammettere. Una pellicola descrittiva, coerente ed equilibrata nel gestire i vari piani narrativi, forse un po' fredda e a volte didattica nello sviluppo delle psicologie dei personaggi, che concede troppo poco alla commozione anche quando la drammaticità delle situazioni e la violenza delle immagini chiederebbe di affondare un po' di più i colpi. “L'altra verità”, scritto dal sodale Paul Laverty sulle riflessioni di un'infermiera, impiegata nel recupero degli ex militari affetti dal disturbo post-traumatico da stress (DPTS), inizia e finisce su un traghetto: quello che Frankie e Fergus prendevano da ragazzi, quando marinavano la scuola tracannando vino e sognando di partire per terre lontane. Guardando dall'alto le acque calme del fiume Mersey, un disilluso e amaro Fergus metabolizza la vendetta per la morte dell'amico, caduto in Irak per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Finale scontato ma nient'affatto consolatorio. Produce Rebecca O'Brien.

(recensione di Alessandra Miccinesi)


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