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Buon esordio alla
regia per George Ratliff,
già autore
di un documentario
nel 2001 dal titolo
“Hell House”,
che mostra inequivocabilmente
l’interesse
del regista per l’esistenza
e la manifestazione
di Satana, e che sarà
anche argomento principale
di Joshua. Presentato
al Sundance 2007,
il film si inserisce
perfettamente nella
serie di film in stile
“Omen –
Il presagio”,
con al centro la figura
di un “misterioso”
bambino e quindi non
può certo essere
considerato un prodotto
originale. Sam Rockwell
interpreta Brad, un
padre di successo
che lavora a Wall
Street, e lo fa magistralmente
soprattutto quando
inizia a sragionare
(per colpa del bambino)
e smette i panni del
buono e diligente
padre di famiglia,
passando da giacca
e cravatta a jeans
e maglietta. Joshua
è il figlio
di 9 anni, un piccolo
genio che ama il pianoforte
e odia |
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giocare
con
gli
altri
bambini:
ed è
intorno
alla
sua
figura
che
ruota
l’intero
film,
alla
sua
freddezza,
alla
sua
mente
calcolatrice,
ai suoi
interessi
macabri.
Alla
sua
ambiguità.
Grazie
infatti
ad una
sceneggiatura
ben
strutturata
e ad
una
regia
sempre
attenta
ai particolari,
il film
riesce
ad instaurare
nello
spettatore
un senso
di angoscia
e incertezza
proprio
perché
non
si riesce
a capire
se effettivamente
il bambino
(interpretato
da |
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un ottimo,
nella sua
compassatezza,
Jacob Kogan)
sia “vittima
delle circostanze”
o artefice
delle disgrazie.
Sulle note
di Beethoven,
profonde e
rivelatrici
dello stato
d’animo
di Joshua,
si accavallano
infatti situazioni
sempre più
drammatiche
in un climax
che finirà
solamente
ad opera compiuta.
La scelta
di girare
quasi tutto
il film all’interno
del mega-appartamento
di Manhattan,
molto asettico,
impersonale
e freddo (come
dice la madre
di Brad, “
questo è
un appartamento,
non una casa!),
esalta l’ottima
fotografia
del francese
Debie, che
grazie ad
un uso sapiente
dell’illuminazione
contribuisce
a creare il
clima di suspence
e ambiguità
già
descritto
prima. Grazie
inoltre alla
buona prova
recitativa
di Vera Farmiga
(Debby), la
madre affetta
da sindrome
maniaco-depressiva
post partum
che per prima
si accorge
della vera
natura del
figlio, e
della nonna
di Joshua
(l’esperta
Celia Weston),
che simboleggia
la critica
autoriale
verso il bigottismo
religioso
americano,
il film si
fa sicuramente
apprezzare
per le emozioni
che riesce
a trasmettere
anche se sarà
un film rivolto
agli amanti
del genere.
(di Mauro
Missimi)
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