IO L'ALTRO
 

recensione io l'altro

 
E’ cosa nota che il messaggio e la buona fede nel trasmetterlo non bastino a portare a casa risultati decorosi, nel cinema come nella vita. Diceva Oscar Wilde, “le cose peggiori sono sempre state fatte con le migliori intenzioni”. Lo scrittore e regista tunisino Mohsen Melliti ha senza dubbio un messaggio da trasmettere, e un sacco di buone intenzioni. Non serve la dedica finale “a tutte le vittime della guerra al terrorismo” per farcelo capire. Sull’enorme piatto del suo piccolo film da camera (anzi, “da barca”) mette infatti una notevole quantità di cibarie: la paura dell’altro, il pericoloso manicheismo veicolato dai media (“la radio è il nuovo Corano” è la battuta migliore del film - o meglio, l’unica passabile), il terrorismo, l’antiterrorismo, i profughi somali, i profughi nordafricani, la mafia, la mafietta, l’Iraq, Bush, Bin La-  
 
den, e via elencando. Il risultato, prima di tutto per la troppa carne – appunto – al fuoco, è un insensato pastrocchio, qualunquista proprio nel tentativo di colpire il qualunquismo, risibile proprio nel tentativo di essere serio e inetto quando vuol tentare una svolta thriller, memore forse di altri e ben più riusciti film “da barca” (da “Il coltello nell’acqua” in poi). La mano di Melliti, per poca esperienza o forse per eccesso di  
buoni propositi, è pesantissima nell’approccio di genere come in quello “sociale” e, vista l’evidente difficoltà nel manovrare la regia, abbandona presto la barca, lasciando tutto il lavoro agli attori. Se pensiamo che i due protagonisti sono due pescatori che passano la giornata a pontificare sui massimi sistemi (avremmo preferito di gran lunga che stessero zitti e tirassero le reti, piuttosto) e che uno dei due è Raul Bova (di cui altrove si poteva apprezzare almeno l’impegno, ma non certo per questo posticcio accento siculo), non è facile capire perché, in assenza non dico di una mano ferma ma di un qualunque progetto o idea di regia, tutto il resto cada addosso alle spalle dei due malcapitati. E per Giovanni Martorana, lo diciamo, un po’ ci spiace. Un film sbagliato da cima a fondo, brevissimo eppure mortalmente noioso. Da dimenticare in fretta, non fosse altro che per alcuni tra i più incredibili momenti di imbarazzo del cinema italiano recente: al di là di sparate e luoghi comuni come “cercano la libertà e trovano la morte”, come è possibile che in cabina di montaggio nessuno si sia accorto di quanto fosse follemente ridicolo quel morphing tra Osama Bin Laden e Padre Pio?

(recensione di Francesco Chignola )

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