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recensione io
e beethoven
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Chi era Beethoven?
Un grandissimo compositore,
e un uomo solo. Fino
alla morte solo. Una
sorta di tardoilluminista
romanticamente tormentato
e costretto in disparte,
avvolto dal silenzio
senza pace di una
sordità sempre
più totale.
Un artista, forse
il primo esempio di
artista moderno, inteso
come genio totalizzante
e accentratore in
drammatica opposizione
alla società,
e alla grettitudine
intellettuale della
nascente borghesia.
Chi è il Beethoven
della Holland? Un
uomo sgraziato, rude,
geniale, ma confuso.
Che negli ultimi momenti
della vita incontra
una giovane e avvenente
fanciulla in grado
di riplasmare il suo
animo inaridito dall’isolamento,
in grado di commuoverlo
e riportarlo tra gli
uomini. Inutile dire
che Beethoven non
incontrò mai
nessuna fanciulla
al termine della vita,
inutile dire che anzi
proprio il suo anelito |
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romanticamente
fuori
tempo
all’“immortale
amata”
fu causa
di profonde
malinconie.
Inutile
dire
anche
che
opere
rivoluzionarie
e anticipatrici
come
la celebre
“Nona
Sinfonia”
e i
meno
noti
“Quartetti
per
archi”
germogliarono
proprio
nelle
profondità
di una
solitudine
ormai
definitiva,
ormai
inappellabile.
Nessuno
spiraglio,
nessun
riscatto,
nessun
sorriso.
Ma questo
non
interessava
alla
Holland:
forse
ciò
che
davvero
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le stava a
cuore era
imbastire
un’inutile
quanto bislacca
polemica sul
perché
le donne non
potessero
essere ammesse
nell’universo
musicale dei
primi dell’ottocento,
oppure dimostrare
quanto più
umano avrebbe
potuto essere
anche Beethoven,
se solo gli
fosse stato
concesso l’incontro
dolce con
le donne.
Forse è
così.
O forse, più
semplicemente,
la Holland
più
che raccontare
Beethoven
preferisce
inseguire
gli inutili
gorgheggi
del suo stile
piattamente
barocco, e
sfruttare
l’emozione
quasi virulenta
di opere come
la “Nona
Sinfonia”
per dare colore
al proprio
cinema scipito.
Altre risposte
di fronte
ad un tale
sproloquiare
filmico non
ve ne sono.
Come non può
esserci nemmeno
la speranza
che il film
riesca almeno
ad avvicinare
le nuove generazioni
alla musica
delicatamente
violenta di
Beethoven.
Che, come
si diceva,
si fa di sonorità
imprevedibili,
avvolgenti
fino alle
lacrime, perché
germogliate
tra le pieghe
di lunghissime
solitudini.
(recensione
di Mattia
Mariotti
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e beethoven"! |
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