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Ambientato nella Napoli dei nostri giorni, Into Paradiso, presentato a Venezia nella sezione Controcampo Italiano, ha come protagonisti due personaggi emblematici: Gayan (Saman Anthony), immigrato dallo Sri Lanka per un malinteso, e Alfonso (Gianfelice Imparato), un ricercatore precario che ha perso il suo lavoro e, anch'egli per un malinteso, si trova braccato dalla malavita locale. L'esordio alla regia di Paola Randi, che ha già sul curriculum qualche corto, ma nessun altro lungometraggio, è un film sognante e sopra le righe, una favola moderna che parla di come possa avvenire l'incontro culturale in una società multietnica. Il film prende la coabitazione come metafora dell'immigrazione, come afferma la regista: " Into Paradiso è la storia di una convivenza forzata. Credo che l'esperienza dell'immigrazione si |
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possa ridurre, in ultima analisi a questo: una condivisione obbligata di spazi tra gente che proviene da mondi diversi." La coabitazione tra Gayan e Alfonso è determinata da un intreccio di circostanze buffe e paradossali: un ricercatore onesto fin quasi all'ingenuità è coinvolto nelle questioni della malavita locale e ne diventa il bersaglio; un ex-campione
di cricket dello Sri Lanka arriva in Italia convinto dal cugino, |
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credendo di trovare lavoro presso un giudice, invece finisce per fare da badante a una signora anziana appassionata di telenovelas e tenta di rimpatriare. Alfonso trova riparo nella casa dello sportivo srilankese, dove si trova a vivere una situazione ribaltata: è lui ospite (inatteso e non desiderato) di un immigrato e della comunità di cui costui fa parte. Il setting partenopeo conferisce alla storia un'atmosfera beffarda, che ricorda il teatro delle maschere e la farsa, mentre, con una recitazione molto naturale, i protagonisti riescono a rendere credibili anche i momenti più inverosimili. Fantasiosi e divertenti gli inserti onirici in stop-motion con cui la regista segnala le fantasie del protagonista. La fotografia sgranata e qualche colpo di sceneggiatura un po' pretestuoso pesano sul risultato finale del film, che comunque ha dalla sua parte una capacità immaginifica degna del miglior Virzì.
(di Maria Silvia Sanna )
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