INNAMORARSI A MANHATTAN
 

- recensione -

 
Il titolo italiano è un po’ fuorviante (e induce a falsificare la percezione che il pubblico potrebbe avere del film: del resto numerosi sono gli esempi di pellicole che, proprio grazie allo stravolgimento del titolo, hanno avuto un successo maggiore di quanto non sarebbe accaduto se fossero rimasti col titolo originale…e quindi tentare non nuoce). Più esatto quello originale, maggiormente corrispondente a quanto assistiamo sullo schermo, il primo innamoramento di due adolescenti: ma niente a che vedere con quel piccolo capolavoro che fu, sullo stesso tema, “Jeux d'enfants” di Yann Samuell (che con arguzia intelligenza irriverenza si rivolgeva a tutte le persone che hanno voglia di riscoprirsi nell'amore). Questo è un tipico prodotto americano “costruito a tavolino” che dovrebbe accontentare coloro che al cinema non richiedono  
 
un particolare impegno ma solo un passatempo il meno noioso possibile. La critica statunitense lo ha generalmente stroncato (e probabilmente ciò spiega il perché sia distribuito in Europa con un anno di ritardo, in piena estate e senza adeguata promozione pubblicitaria), quella italiana si è divisa (qualcuno lo ha lodato per l’umorismo, per le citazioni e per l’ironia sui luoghi comuni delle commedie romantiche, altri gli han-  
no rimproverato di aver eccessivamente calcato la mano con lo zucchero). Semplice e a tratti divertente, leggera e con (false) pretese di originalità, la sceneggiatura scritta dallo stesso regista (e da sua moglie Jennifer Flackett) non sa evitare sia una certa leziosità nel descrivere il mondo dei piccoli e i loro primi turbamenti amorosi, che una certa retorica nel presentare le relazioni tra adulti e bambini nonché i rapporti tra genitori prossimi al divorzio (e colpevolmente ritrae una New York altamente improbabile). “Innamorarsi a Manhattan” è il tipico film per famiglie (e alcune potrebbero anche trovarlo interessante) che corre continuamente sul filo dello stereotipato, del banale, del superficiale ma con la pretesa di analisi psicologica e studio d‘ambiente. Può far passare un’ora e mezza in serenità ma, usciti dalla sala, sarà presto dimenticato. La qualità migliore di Mark Levin (finora semplice sceneggiatore dei pessimi “Wimbledon” e “Madeline - Il Diavoletto Della Scuola”, ora alla sua prima regia) è l’abilità nella conduzione degli attori, tutti perfetti. Josh Hutcherson, in particolare, è bravissimo ed accattivante al punto giusto.


(di Leo Pellegrini )

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