INFAMOUS
 

infamous recensione

 
E’ strano come uno può stare una vita intera senza sentire parlare di Truman Capote e poi a distanza di qualche mese escono due film pressoché identici sul grande scrittore americano e sulla genesi del suo romanzo forse più noto, “A sangue freddo” (o è più noto “Colazione da Tiffany”?), passato alla storia come il primo romanzo di reportage dove l’invenzione letteraria si mescola alla cronaca giornalistica intorno ad un fatto realmente accaduto. La domanda è: Perché? Misteri degli Studios hollywoodiani. A farne le spese questo “Infamous – una pessima reputazione” che pur non avendo quasi nulla da invidiare al Capote di Bennett Miller, con Philp Seymour Hoffman nel ruolo del protagonista, ha il solo difetto di essere arrivato lungo coi tempi ed essere uscito dopo, dopo che l’altro ha già incassato gloria e oscar. Il regista/  
 
sceneggiatore Douglas McGrath ha provato a convincerci e convincersi: è un’altra storia, è il “mio” Capote. D’accordo. In realtà trama e intreccio sono quasi identici così come quasi identiche sembrano alcune sequenze. Ne parlammo bene allora, non vediamo il motivo di parlarne male adesso. Il Capote di “Infamous”, interpretato da Toby Jones lascia forse qualcosa a quello di Hoffman, più simile ad una portinaia  
pettegola il primo, più dandy e cinico il secondo. Quel che è vero è che se là ci si soffermava sull’episodio circoscritto di “A sangue freddo”, qui McGrath, attraverso il medesimo episodio (episodio che segnò profondamente Capote tanto che dopo non scrisse praticamente più nulla), tenta una lettura più biografica e approfondita dello scrittore e delle sue due anime, due anime che si riflettono nei due mondi che il film mette in scena e contrappone in chiave netta: quello dell’elite culturale newyorchese, snob e frivolo, e quello della provincia rurale americana, tranquillo e inquietante. Contrapposizione che si palesa anche a livello fisico: il primo è descritto attraverso luci calde e musichette allegre (le uniche note dolenti sono quelle cantate all’inizio da Gwyneth Paltrow e suonano come un infausto presagio); il secondo con colori freddi, luci e ombre, una colonna sonora che si fa greve quando c’è da scoperchiare certe pentole. Nel punto d’incontro di questi universi scaturisce l’ambiguità di Truman, che poi è l’ambiguità che persiste in chi vive in maniera irrisolta lo scarto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Intorno al Toby Jones protagonista, un cast davvero maiuscolo di ritrovate facce note: Sandra Bullock nei panni dell’amica scrittrice Harper Lee (nell’altro era Catherine Keener) e poi Sigourney Weaver, Jeff Daniel, Isabella Rossellini, la già citata Gwyneth Paltrow in un “generoso” cammeo e soprattutto il nuovo James Bond Daniel Craig che si dimostra ancora una volta attore versatile, capace di passare da un ruolo all’altro con estrema, naturale, disinvoltura.
(recensione di Mirko Nottoli )

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