|
|
|
|
recensione in
the valley of
elah
|
|
"Fin dalla citazione
Biblica del titolo
originale, che racconta
la vicenda del giovane
David mandato dal
padre nella Valle
di Elah a combattere
il gigante Golia,
c'è - nel nuovo
film di Haggis - un
rapporto intenso e
forse indispensabile
con la Metafora in
quanto mezzo (o unico,
disperato sostentamento)
per raccontare la
nostra Contemporaneità.
Un complessivo sguardo
sulla Guerra in Iraq,
antitetico a quello
di De Palma, che gioca
perciò di "sottrazione"
e che, paradossalmente
e insolitamente, è
molto più vicino
al sentimento spirituale
e sofferto della popolazione
americana rispetto
all'iconoclasta "Redacted",
rivolto forse più
a un pubblico Europeo.
La storia racconta
di Hank Deerfield,
ex-veterano del Vietnam,
maniaco dell'ordine
e della disciplina
militare, fiero patriota,
che cerca il figlio
Mike, tornato dall'Iraq
da una settimana e
misteriosa- |
|
|
|
mente
scomparso
nel
nulla.
L'uomo
assolda
una
dectetive,
l'ispettrice
Emily
Sanders
(Charlize
Theron)
per
indagare,
ma inizialmente
il rapporto
tra
i due
è
minato
dall'antimilitarismo
della
donna,
condizionato
forse
dal
suo
inerme
conflitto
con
quell'universo
maschile
che,
anche
nel
suo
ambiente
di lavoro
(è
spesso
costretta
ad occuparsi
di casi
di poco
conto,
e per
questo
viene
spesso
beffeggiata
dai
colleghi)
è
predo-
|
|
|
|
minante. Dopo
diversi giorni,
il corpo del
giovane marine
viene trovato
morto, barbaramente
tagliato a
pezzi, e tutto
questo semina
nel padre
e nel suo
universo di
"valori"
una profondissima
revisione
di tutto ciò
che aveva
valorosamente
creduto. Dopo
l'invettiva
antirazziale
di "Crash"
Haggis aggiorna
la coscienza
del Po-polo
americano
creando un
vertiginoso
abisso di
Valori e (falsi?)
Idealismi.
"In the
valley of
Elah"
ci mostra,
vivaddio,
un veterano
di guerra
meno tronfio
del solito,
impersonato
da un Tommy
Lee Jones
che non dimenticheremo
facilmente,
capace di
attraversare
lo spirito
Fiero delle
sue scelte
e delle sue
convinzioni
non senza
quei temutissimi
scogli con
cui si scontra
la Ragione
contro lo
sciovinismo
più
bieco. Ogni
ruga nel volto
di Jones,
pardon di
Hank, appartiene
a un'ennesima
ferita nell'orgoglio,
a una disfatta
che vede e
sente correre
nel proprio
corpo veleni,
maldicenze,
omissioni,
paure, trappole,
inganni e
crudeli verità
(come quella
del figlio
che, come
molti marines,
faceva uso
di droghe).
L'inconciliabilità
dell'uomo
con un mondo
che gli appartiene
e per cui
sente ancora
di appartenere
si scontra
con una ferita
lacerante
che è
quella di
un corpo ridotto
a pezzi (quello
del figlio),
di una moglie-madre
distrutta
(un'intensissima
Susan Sarandon),
di una morale
che deve accettare
e perdonare
le libertà
di un ventenne
forte come
un soldato,
ma debole
come un "vero
uomo",
di un conflitto
dove basta
Immortalare
un'azione
terribile
per trovare
l'unico appiglio
credibile
alla parola
"Verità".
Il film -
con uno script
che ricorda
a tratti "Missing"
di Costa-Gavras,
si assume
principalmente
la responsabilità
di mettere
insieme due
identità
diverse, quella
del marine
e quello dell'ispettrice
(che solo
l'enfatizzazione
di una Certa
America vorrebbe
indicare come
"socialista"
e Contraria
alle virtù
e all'elogio
degli States)
facendo ritrovare
ad entrambi
lo stesso
senso di perdita,
di rabbia,
di impotenza.
Ci vuole davvero
coraggio per
esporre una
bandiera americana
lacera e rove-sciata,
lasciando
le coscienze
trafitte e
importunando
il Grande
Tabù
delle Coscienze
a stelle e
strisce...
In effetti,
quel che guasta
nel film è
proprio la
sua proverbiale
genuinità,
la sua capacità
indubbia e
profonda di
cavalcare
l'onda di
un fortissimo
disagio e
di percorrere
questa strada
con un rigore
politically
(un)correct
che è
destinato
a far incetta
di premi piuttosto
che sfidare
le convenzioni
e il Potere
con delle
strumentali
polemiche.
Sembra effettivamente
che proprio
il personaggio
di Hank, nel
suo militarismo
indulgente
ma mai davvero
rassicurante,
apra per esempio
tardivamente
gli occhi
davanti a
una Guerra
che è
simbolo/sintomo
del conflitto
lacerante
degli uomini
davanti ai
loro destini
istinti e
alla loro
abissale ferocia.
Malgrado ciò,
gli sguardi
impassibili
di alcuni
soldati che
raccontano
la terribile
morte di un
ragazzo, davanti
al volto confuso
e disperato
di un padre,
e la fotografia
che umilia
l'Uomo costringendolo
a vedere un
dramma non
meno lacerante
rendono questa
Visione di
Cinema assolutamente
necessaria,
dove la sottrazione
gioca un ruolo
determinante
e nichilista
per la sopravvivenza
psicologica
di chi ne
è testimone."
(recensione
di Luca
D'Antiga
)
|
-
Scrivi la tua
recensione del
film "in
the valley of
Elah"! |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2007.
Tutti i diritti (su articoli e recensioni) sono riservati.
|
|
|