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recensione in
questo mondo libero
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"Ebbene sì,
di Ken Loach sentiamo
ancora la necessità.
Non che non lo sapessimo
già, ma probabilmente
era facile avvertirne
la mancanza, quella
di uno spirito corrivo
e arrabbiato, nelle
sue opere più
recenti. Dopo tante
decorose Lezioni "dalla
parte della Ragione"
(e necessariamente
ciò non significa
dover assolvere ad
ogni costo il sommo
Artefice di cotanto
idealismo e impegno
profuso) è
un vero sollievo ritrovare
nel suo "In questo
mondo libero"
la stessa beffarda
invettiva dell'epoca
di "Riff-raff"
o "Piovono pietre".
Esaurita (temporaneamente,
ma si spera a lungo)
la spinta propulsiva
dell'affresco storico-ideologico
premiato a Cannes
("il vento che
accarezza l'erba")
l'autore inglese torna
ai suoi temi prediletti,
imprimendo però
un Realismo Sociale
che non ha, come certi
lavori precedenti,
la pretesa di ecume- |
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nizzare
il Messaggio.
A prima
vista
la storia
di Angie,
che
viene
improvvisamente
licenziata
da un'agenzia
di collocamento
ed è
costretta
a ricominciare
da zero,
fa tornare
in mente
un film
diversissimo
come
"Rosetta"
dei
fratelli
Dardenne:
per
diverse
ragioni,
in entrambi
i film
empatizziamo
inizialmente
con
la protagonista,
e solo
nel
corso
della
storia
finiamo
per
disconoscerla
e disapprovarla.
Se il
mondo
è
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corruttibile,
la società
secondo Loach
educa a trasgredire
alle regole,
all'imposizione
individuale
ad ogni costo,
a cedere ai
piccoli e
grandi ricatti,
ai propri
egoismi emotivi
e professionali.
Il tutto in
un'Europa
stranita,
senza identità,
sconvolta
e nemica di
se stessa,
un mondo dove
(attenzione)
i mondi subalterni
non contano
più
del dovuto,
e comunque
non meno delle
proprie motivazioni
e coercizioni
personali.
Straordinari
i primi fotogrammi
del film:
l'Essenziale
per l'autore
è prima
di tutto la
capacità
sintetica
e sommaria
di scrivere
e raccontare
visivamente
la Storia:
una storia
che ha tutto
il tempo,
successivamente,
di venire
analizzata
in ogni sfumatura.:
una donna
che perde
un posto di
potere - una
donna che
perde il posto
e il potere
- una donna
che ritrova
il potere
- il potere
che delimita
ed enfatizza
le scelte
sbagliate
deturpando
in parte l'idealismo
concreto alle
origini di
queste scelte.
"In questo
mondo libero"
è un
film senza
speranza:
i passaggi
che portano,
anche se con
una ritrovata
verve ironica,
a decontestualizzare
le sue virtù
fino a diventare
una "macchina"
di cinico
arrivismo,
suggeriscono
che nella
società
di oggi è
praticamente
implausibile
coltivare
la propria
strada senza
incorrere
in meschine
opportunità
ed esecrabili
licenze. La
"gestione"
di Angela,
che inzialmente
vediamo ritratta
come una via
di mezzo tra
un'utopica
ingenua e
una stoica
eroina di
indipendenza
ed emancipazione
femminile,
finisce per
collimare
appunto in
quei contrasti
che in fondo,
come suggerito
nello stesso
film, ci accumuna
tutti.: sia
perchè
il coraggio
si paga a
caro prezzo,
sia perchè
forse, è
facile diffidare
proprio di
chi ha subito
un sopruso
(il licenziamento
immotivato)
e sa di poter
aderire al
riconoscimento
delle sue
stesse ragioni.
E' l'"altra
faccia"
dei primi
film di Cantet,
"Risorse
umane"
e "A
tempo pieno"
e soprattutto
(ancora) di
"Rosetta",
quando la
protagonista,
pur di sopravvivere
nella dura
quotidianità,
agisce unicamente
per spodestare
gli altri
da se stessa.
Loach racconta
pertanto una
società
con un gusto
del paradosso
che rasenta
lo stupore:
è sottilmente
crudele, ma
è sempre
l'alienazione
sociale a
portare la
protagonista
alle estreme
conseguenze,
a diventare
ora benefattrice
ora nemica
dispotica
della Comunità.
In verità,
Angie non
è mai
(neanche)
inizialmente
una vera benefattrice,
ma "soltanto"
una donna
che subisce
un torto a
cui pretende
ad ogni costo
di porre rimedio.
Agisce comunque
per la sua
vita, per
il figlio
e per la propria
indipendenza,
organizzando
a modo suo
l'attività
lavorativa
altrui, ma
coinvolgendo
amicizie (la
socia-coinquilina
Rose), affetti
familiari
(il figlio,
il difficile
confronto
con le generazioni
dei padri)
e sessuali
(il disordine
relazionale
di una mancata
dimensione
amorosa).
E arrivando
a denunciare
un gruppo
di abusivi
che vivono
senza permesso
di soggiorno
nelle baraccopoli
di periferia,
sembra persuadere
lo spettatore
che l'unica
arma per gestire
i propri vantaggi
sia quella
di sopraffare
le aspettative
altrui. Il
film perciò
ci ammonisce
di questo
preparandoci
a un "rapimento"
e a una drammatica
sequenza dove
tutto sembra
predestinarsi
al dramma:
e mentre vediamo
tutto ciò
sappiamo che,
in fondo,
anche a noi
inermi spettatori
è contestato
il diritto
di "salvarci".
(recensione
di Luca
D'Antiga
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