IN BRUGES
 
locandina In Bruges

recensione: in bruges

 
Il fascino medioevale di Bruges, cittadina fiamminga, intatta nella sua storicità monumentale, meta di turisti da tutto il mondo, conquista subito l’occhio e la sensibilità dello spettatore che si accinge ad iniziare la visione del primo lungometraggio firmato Martin MacDonagh, “In Bruges”. Due killer di professione, Ray (Colin Farrel) e Ken (Brendan Gleeson), sono costretti ad abbandonare in fretta e furia Londra poco prima dell’avvento del Natale, per un lavoro andato storto. Il loro capo londinese, Harry (Ralph Fiennes), ordina loro di “rifugiarsi” a Bruges per almeno due settimane ed attendere che le acque si calmino. Bruges, nella sua eleganza a volte sinistra, è contemporaneamente protagonista della storia insieme ai due spaesati turisti per “forza”. Ray e Ken, mentre aspettano che Harry si faccia vivo con  
 
nuovi ordini, cercano di passare il tempo ammirando l’arte gotica. Ma mentre per Ken è più facile improvvisarsi turista e godere delle meraviglie artistiche, non è così per Ray, che pensa continuamente a quanto sia stato funesto il suo primo lavoro da killer. MacDonagh scrive e dirige una storia straordinaria nella sua unicità rappresentativa, che mette a nudo le coscienze dei protagonisti, costretti in un'atmo-   recensione In Bruges
sfera che sempre più acquista una pacata surreale realtà. Bruges in pratica non è altro che il luogo del confronto, una forza viva che scuote con le sue bellezze ed opere d’arte la sensibilità reattiva di Ken. Ma è il luogo che attanaglia la coscienza affranta di Ray, che percepisce la città come una sorta di luogo avvilente e minaccioso. La genialità di MacDonagh in “In Bruges” sta nell’aver saputo mettere in scena una storia di serial-killer, senza ricorrere ad una roboante e frenetica azione scenica, costruendo la recitazione in un contraddittorio di prese di coscienza dei personaggi, con tempi scenici altrettanto incalzanti, emozionanti ed avvincenti. “In Bruges” rappresenta, a tutto tondo, quella magistrale consapevolezza di orientare nel modo giusto la comunicazione dell’obiettivo nel messaggio mediatico. E’ il luogo della città di Bruges, con la sua realtà di vita e di gente che transita per le vie, nelle piazze, nei locali. Il confronto esistenziale tra Ray e Ken, che si acuisce ancor più in seguito alla visione delle opere d’arte del grande pittore fiammingo Jeronimus Bosch. L’incontro non fortuito, ma positivo tra Ray e Chloe (Clèmence Poèsy). Il faccia a faccia tra Ken, uomo dotato di una grande forza e compassione, che gli conferisce una caratterizzazione carica di energia umana, e Ray, pericoloso nella sua disperazione, sensibile nella sua natura dark. Tutto questo, nell’evoluzione delle circostanze, riesce a dar voce a quella nascosta e sottesa innocenza che pur alberga in questi due killer violenti e sanguinari. La luce della speranza verso una possibile esistenza rinnovata nella sostanza, come un dono inatteso e magico si accende in Ken grazie proprio a Ray. Dal canto suo Ray lotta con il male che si è impossessato di lui. Ma Ray deve sconfiggerlo, annientarlo in se stesso, con se stesso. Il personaggio di Harry è la “mano” dell’espiazione. Individuo pericoloso, dotato di principi ferrei ed un gran senso di lealtà, legato da un intimo senso d’amicizia con Ken, sorprende non poco per il suo ruolo di bilanciere e giustiziere. Con “In Bruges” il male ed il bene, albergatori perenni della natura umana debole e contraddittoria, si concretizzano attraverso i volti di Ray e Ken, quando iniziano a sentire nei loro corpi la violenza commessa, che alita i sentimenti, reprime la gioia di vivere. Nel duello finale all’ultimo sangue con l’implacabile moralista e giustiziere Harry, Ray e Ken sconfiggeranno il male. MacDonagh, riesce mirabilmente a rappresentare un’ottima comprensione dello spazio filmico, scegliendo i simboli dell’atmosfera incantata e surreale che pervade le opere del pittore fiammingo Bosch, Non a caso l’opera di Bosch “Il giudizio universale” è scelta da MacDonagh come rappresentazione simbolica della resa dei conti finale per l’umanità, per chi ha vissuto nel bene e chi nel male. Se pur laboriosa e ed intrisa di dialoghi notevoli e profondi, pensata veramente in maniera drammaturgica, la sceneggiatura lascia spazio edificante ad una giusta ilarità della storia, sostenendo vivo l’interesse dello spettatore dall’inizio fino allo scorrere dei titoli di coda. La violenza, la fragilità della natura umana, il rimorso della coscienza, l’attesa del giudizio per la liberazione e la rinascita alla speranza. Negli ultimi minuti del finale la voce di Ray sintetizza tutto questo nell’angoscia di una paura che lo attanaglia. E quando iniziano a scorrere i titoli di coda, viene spontaneo pensare che tutto in “In Bruges” è arte allo stato puro: la fotografia di Eigil Bryld, la straordinaria recitazione del cast (tra cui un meritato apprezzamento va a Colin Farrell), le scenografie di Michael Carlin, i costumi di Jany Temine, e le musiche di Carter Burwell.



(recensione di Rosalinda Gaudiano )


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