IMAGO MORTIS
 
locandina imago mortis

recensione imago mortis

 
Imago Mortis è l'esordio davanti al grande pubblico del regista Stefano Bessoni. Di fatto si può parlare di un ritorno del cinema italiano nel campo del fantastico e dell'horror, ormai rivalutato di recente dalla corrente dei giovani spagnoli (si pensi ad Amenabar tra i registi e a Berdejo tra gli sceneggiatori). Tale ondata di rinnovamento ha rinvigorito il genere in ambito europeo e introdotto spunti originali capaci di superare il già visto, quella standardizzazione che spesso portava alla banalità del racconto se non allo splatter gratuito. Berdejo coopera nella stessa realizzazione della sceneggiatura, affiancando il regista e il suo team e contribuendo a illustrare mondi sommersi, dove le storie si intrecciano in uno spiazzante connubio tra terrore e poesia. Imago Mortis è infatti una fiaba nera, un raccontoto decontestualizzato,  
 
proprio come le fiabe, colorato da un'atmosfera decadente in bilico tra la realtà e la fantasia. Ed infatti il confine tra il mondo reale e quello immaginario è spesso labile, indefinito. L'ambientazione è sospesa in un contesto senza spazio e senza tempo. L'idea alla base, cioè la cattura della morte nell'occhio del cadavere, costituisce uno spunto senza dubbio originale. Un tema che di fatto affianca la fotografia al   recensione imago mortis
fenomeno della persistenza retinica, dunque l'arte alla scienza. E l'approccio alla realizzazione è per l'appunto analogico, come se la vecchia pellicola si prendesse una rivincita sul digitale, tanto celebrato ma a volte fin troppo invasivo. Partendo da un soggetto innovativo Bessoni dirige un film godibile, in grado di tenere alta la tensione e l'attenzione fino alla fine. Merito non da poco se si considera quanto il genere sia ostico e sviscerato nella sua peculiarità, e quanto lo spettatore attuale sia preparato a convivere con la suspense da schermo. Ad ogni modo si avverte troppo spesso la presenza della macchina da presa, in primis per via di lente e continue carrellate laterali che se contribuiscono a rendere più dinamico il montaggio finiscono per creare un artificio registico non giustificato.. come se la forma stilistica e l'attenzione maniacale alle inquadrature vogliano scalzare dal primo piano l'essenza del racconto. La sceneggiatura stessa, per quanto originale e ben calibrata, a tratti prevede dialoghi ridondanti e delle trovate risolutive poco convincenti (si pensi alla contessa Orsini che non ostacola la scoperta della pellicola incompiuta). L'isolamento della scuola poi, per quanto adatto a conferire al racconto una connotazione fiabesca, è un ulteriore ostacolo alla verosimiglianza, riducendo quell'immedesimazione e quella condivisione di pathos tanto cruciali in un genere che vive grazie ad esse. Il film funziona perché si percepisce il pericolo imminente, perché è in grado di incuriosire, ma abbiamo la sensazione che definendo meglio alcuni ingranaggi narrativi il risultato finale sarebbe potuto essere ben più efficace. In ogni caso una pellicola apprezzabile e degna di nota, magari la prima di un nuovo corso.

(di Lucio De Candia)


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