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Il cielo sopra la costa calabrese è azzurro e in esso si accende una scintilla di speranza. A pochi chilometri dalla tristemente famosa Rosarno, troviamo i piccoli comuni di Riace, Scilla e Badolato in cui esiste una realtà completamente diversa, del tutto taciuta dai media. Svuotati da decenni di emigrazione, questi paesi accolgono gli immigrati come una risorsa e danno loro il benvenuto. Per raccontare questa storia, il Wim Wenders usa i linguaggi della fiction e del documentario, passando per il meta-cinema; dal soggetto originario, basato su una vicenda di diversi anni fa, si prende spunto per raccontare le storie attuali, pulsanti, dei rifugiati in Calabria. “Un salto mortale, ecco cosa stavo cercando di fare.” Afferma il regista tedesco: “Anzi quello che ho fatto. In qualche modo sono riuscito a legare la vecchia |
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storia alla nuova. L’ho fatto anche per un senso di responsabilità verso queste persone, i rifugiati, verso le Nazioni Unite che appoggiavano il nostro progetto”. Così dai sette minuti di cortometraggio inizialmente previsti, è stato alla fine realizzato un medio-metraggio di circa mezz’ora, che racconta l’accoglienza, certo, ma anche le realtà drammatiche dei paesi d’origine dei rifugiati. Questo cambio di paradigma deriva dall’innocente invito di un bambino di otto anni: Ramadullah Ahmadzaj, afgano, il quale ogni giorno si recava a Scilla per recitare la sua parte nel corto Il Volo. Un giorno andò a parlare direttamente con il regista e gli chiese di visitare il suo paese, Riace e di raccontarne la realtà in presa diretta. Bastò questo |
perché Wenders aprisse gli occhi sulla realtà che aveva davanti. E perché capisse che non era giusto chiedere ai rifugiati di recitare in un’opera di finzione senza dare loro la possibilità di far sentire la propria voce, raccontando le esperienze di cui erano portatori. Oltre al valore sociale, un’altra nota di merito va a questo piccolo cortometraggio: si tratta del primo film in live action girato in Italia con la tecnica 3D. Certo sull’aspetto tecnico c’è ancora parecchio da lavorare, come afferma lo stesso regista, che scherza: “Ho capito cosa significa 3D: 3 Difficile. Ci vorrà tempo prima di poter capire appieno le potenzialità di questa tecnologia”. Poi aggiunge: “Il 3D applicato a un documentario è una novità. Di recente sono stati prodotti molti film fantasy o d’animazione in 3D, ma questa tecnologia è potenzialmente una nuova porta sulla realtà”. In inglese porta di dice door, dunque 3D sono tre porte, che permettono di vedere più in profondità la realtà che abbiamo davanti. E andare in profondità è necessario, soprattutto quando, come in questo caso la realtà è molto più complicata di come venga rappresentata.
(di Maria Silvia Sanna)
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