IL TEMPO CHE RESTA
 

il tempo che resta recensione

 
Romain è bello, capriccioso, antipatico (lo interpreta l’eccelso Melvil Poupaud) lavora come fotografo di moda, la famiglia lo adora, nulla gli è precluso. Scopre di essere ammalato e che la malattia lo sta mangiando. Forse la chemioterapia potrebbe dargli qualche speranza, forse no. Decide di non curarsi e, per un motivo o per l’altro - introversione, egoismo, paura - è sempre sul punto di rivelare il suo stato a chi lo ama, salvo tirarsi indietro. Unica depositaria della tragica confidenza sarà la nonna, anima affine (Jeanne Moreau, immensa presenza scenica) con la quale trascorre qualche giorno di quiete prima di tornare a vivere come capita, il tempo che resta. Si sbriglia da qualunque legame, alcuni già al capolinea come la relazione con l’efebico compagno. Avrà una finale (per noi che sappiamo) riconciliazione amichevole ma  
 
nemmeno in quel frangente deciderà di rivelare il perché delle proprie stranezze. Morire è un fatto privato e nessuno può giudicare la scelta che si farà per affrontare un evento di tale portata. Ozon spiattella tale semplice verità (conosciuta ai consapevoli, sconosciuta ai disattenti) senza troppi giri di parole e scene, con l’ausilio di un personaggio centrale che non fa nulla per arruffianarsi le simpatie del pubblico ma che può  
essere percepito e compreso nel suo volersi spogliare di convenzioni, affettività e clichè zavorranti. Non si tratta né di coraggio né di eroismo. Emblematica la risposta alla domanda della nonna: “E ai sensi di colpa dei tuoi genitori non pensi?” “No, perché sarò morto.” Sì, qualche scivolone, qualche pesantezza ma il tono è sincero, inesorabile e doloroso. Sempre attento a non cadere miseramente nei trabocchetti sentimentalistici o a deviare malaccorto scegliendo risvolti melodrammatici o cervellotici. Neanche novanta minuti. Asciutto, secco. Una sola concessione alla nostalgia egoista della vita (un figlio regalato a una coppia che non ne può avere, lei è Valeria Bruni Tedeschi timida quanto determinata) e per il resto la fa da padrona l’antiretorica, una delle migliori sull'argomento dai tempi di “Mare Dentro”.

(di Daniela Losini )

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