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recensione il tempo che ci rimane
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Il tempo che ci rimane è un documento prezioso che racconta in maniera smaliziata quella che è la vita dei Palestinesi e, conseguentemente, la loro storia politica, dal 1948 ad oggi. Il tutto è stato realizzato tramite la trasposizione in immagini dei ricordi del regista Elia Suleiman e dei ricordi impressi sul diario di suo padre. Un film di carattere storico, raccontato dal punto di vista più intimo e tramite personaggi particolari che caratterizzano le vicende di un paese corroso al suo interno. Ci sono quattro episodi chiave che scandiscono la crescita del protagonista, ma soprattutto di suo padre; da quando quest'ultimo si unì alla resistenza fino alla sua morte. Il tutto scandito dalle lettere che la madre mandava ai vari membri della famiglia che furono costretti ad abbandonare il paese, ad essere degli stranieri nella loro |
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stessa città. Elia Suleiman deve il successo come regista al film Divine Intervention, una commedia surreale in cui
si narra una storia d'amore ambientata al checkpoint tra Nazaret e Ramallah. Il film ha ricevuto numerosissimi premi, soprattutto a Cannes. E proprio a Cannes, l'anno scorso, è stato presentato Il tempo che ci rimane. Un film che ha l'ambizione di raccontare le vicende di una famiglia che, nel suo piccolo,
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ha cercato di spazzare via la polvere, piuttosto che nasconderla sotto il tappeto. Un budget economico ridotto, piuttosto che limitare il regista, l'ha condotto a ricercare aiuto nella fantasia e a trovare escamotage narrativi e visivi surreali e fortemente metaforici che ben si confacevano al racconto. Peculiarità maggiore di tutti i film di Suleiman è quella di concedere molto spazio al silenzio. Quel silenzio tanto odiato dai governi perché rappresenta un'arma di resistenza. Ma non solo: il silenzio è una sorta di protesta contro tutti quei film commerciali, ripieni di monologhi che poi, alla fine non lasciano nulla allo spettatore. E' un modo originale di coinvolgere lo spettatore che, all'interno di quei silenzi, può immaginare esso stesso delle parole, lasciandosi semplicemente trascinare dalla forza delle immagini.
Tuttavia le immagini non sono sufficientemente forti, né tantomeno evocative e l'assenza di dialoghi, piuttosto che rispondere al desiderio del regista, di essere trascinante, rende il film noioso e spesso disarticolato. A tratti, quasi, incomprensibile.
(di Francesca Casella)
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