IL RESTO DELLA NOTTE
 

recensione: quando tutto cambia

 
Come è nelle corde del regista Francesco Munzi (nel 2004 diresse Saimir) anche ne “Il Resto della notte” le vicende si dipanano in sordina per poi deflagrare nel finale. Un giovane cameriera (Laura Vasiliu interpretò la ragazza che decideva abortire nell’intenso “Quattro mesi due settimane tre giorni” di Cristian Mungiu) presta servizio nella casa di una famiglia facoltosa. Lui è assente e preso da un nuovo amore impossibile (Aurélien Recoing per citare uno dei suoi film rimandiamo a “Emploi du temp” di Cantet) e lei è Sandra Ceccarelli, nevrotica altezzosa e disperata nella solitudine e la figlia, una giovane adolescente innamorata di un boy scout. Tutto fila apparentemente liscio fino a che non scompaiono un paio di orecchini e la giovane viene licenziata. La macchina da presa si sposta scavando  
 
in un altro mondo solo apparentemente distaccato e lontano da quello dei borghesi: un caseggiato abitato da extracomunitari, clandestini, persone che si arrabattano. Tra i quali vi è anche Marco (uno spiritato, bravissimo Stefano Cassetti) in riabilitazione e sotto sorveglianza che cerca di occuparsi del figlio ma accosta il ciglio del burrone troppo velocemente. Puro cinema didascalico che ha il pregio di non  
giudicare o essere retorico (parrebbe quasi “costruito” sull'onda xenofoba del momento ma sceneggiatura e trama sono state concepite tre anni fa) e di lasciare che i personaggi e la storia si spieghino semplicemente incatenando un'azione all'altra. Non ammorba con spiegazioni o retroscena ridondanti ma dipana asciutto la morale del caso e delle vite intrecciate sconvolte dalla tragedia. Monocorde e quasi scialbo nelle fotografia ma con punte di efficace determinazione e capacità narrativa. Più coraggio e originalità (anziché pescare a piene mani nel cinema dei fratelli Dardenne solo per citare l'esempio più evidente cui si ispira il regista) avrebbero contribuito a innalzarlo verso un'opera più completa e personale.


(di Daniela Losini )


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