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il regista di
matrimoni recensione
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Matrimoni, gabbie
e desiderio d’evasione:
da se stessi, dalla
routine. Quella dei
provini che un regista
sta preparando per
trovare la nuova Lucia,
colei che illuminerà
l’ennesima trasposizione
dei Promessi Sposi
o che sia quella generata
dalla solitudine che
attanaglia una principessa,
chiusa in un dolore
apatico da anni. Finiscono
con l’incrociarsi
nelle rispettive fughe:
lui da un’accusa
di violenza carnale
(forse immaginata,
si noti come egli
domandi, meglio sublimi,
certi favori dalle
attrici) e lei da
un matrimonio di convenienza
voluto dall’eccentrico
padre, il Principe
di Palagonia (il fascinoso/decadente
Sami Frey) che affida
al regista la realizzazione
del film della festa
nuziale. La terra
d’incontro è
la Sicilia, arcaica
e suggestiva isola
declinata in maree,
processioni, santini
e saltimbanchi di
ogni risma. Lontana
da ogni aggancio |
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con
la realtà
come
lo è
la pellicola
tutta,
che
sceglie
di raccontarsi
prediligendo
il piano
metafisico,
con
qualche
sprazzo
di guizzante
ironia
che
riconcilia
concreta,
ma solo
per
brevi
momenti.
Molto
vicino
a pellicole
come
“La
condanna”
e “Il
diavolo
in corpo”,
“Il
regista
di matrimoni”
va detto,
assolutamente
detto
si discosta
dalla
fabula
rarefatta
ma coinvolgente
del
Bellocchio
che
amiamo
(“Buongiorno,
notte"
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“I pugni
in tasca”,
“L’ora
di Religione”)
e dunque ben
presto ci
si perde e
si perde:
attenzione
e curiosità
si affievoliscono
tra i meandri
delle bizze
narrative.
Qui, sono
ritagli del
proprio inconscio,
che dovrebbero
rimanere nel
giusto oblio.
Esposti al
pubblico,
nella maggior
parte dei
casi, risultano
indigesti.
Il matto che
dice la verità
questa volta
è un
regista (Gianni
Cavina) che
si finge morto
per poter
ricevere il
giusto riconoscimento
alla propria
arte, Donatella
Finocchiaro
(sguardo intenso
e vellutato)
è la
principessa
e il mai banale
Castellitto
è il
Maestro/Regista
di cerimonie
e drammi.
Non sfugga
ma è
chiaro sin
da subito,
il parallelo
tra il celeberrimo
matrimonio
che non s’aveva
da fare e
la voluta
rivisitazione
in chiave
odierna col
finale aperto
e non sfugga
la malinconia
di queste
righe che
chiudono,
spremendo
dispiacere
per l’occasione
mancata.
(di Daniela
Losini)
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