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recensione il
piacere e l'amore
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Ozon, in 5x2, aveva
diviso, con intensa
leggerezza, la vita
di coppia in cinque
momenti, montandoli
poi al contrario:
la fine, la trasgressione,
la nascita di un figlio,
il matrimonio, l’inizio.
E scegliendo questo
sviluppo orizzontale
aveva raccontato una
storia malinconica,
ma non priva di speranza,
in cui i corpi dei
protagonisti diventavano
l’incarnazione
di quella danza che
è, per Ozon,
il flusso continuo
dei destini che si
incrociano, si mescolano,
si perdono. Ceylan,
ne Il piacere e l’amore,
sceglie invece, per
raccontare il tormentato
amore di coppia, la
figura del cerchio,
che costringe quindi
alla ripetizione stanca
della propria infelicità,
a perpetuare la fine
come illusione di
un nuovo inizio. Non
è un cammino,
ma un rituale doloroso
a cui non si riesce
a sfuggire. Non per
niente Ceylan individua
solo quattro momenti
(o più correttamente |
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tre
più
uno
mancato)
nella
vita
di coppia,
creando
una
sorta
di parallelo
con
la ciclicità
delle
stagioni
(leitmotiv
reso
esplicito
fin
dal
titolo
originale,
Iklimler,
cioè
Climi,
sottigliezza
affossata
dal
provinciale
titolo
italiano).
Le sue
immagini
(intessute
di parole
non
dette,
e sguardi
trascinati)
iniziano
dall’estate,
al cui
caldo
rumore
del
mare
è
costretto
a sciogliersi
il sogno
della
giovane
Bahar:
respirare
la felicità,
che
è
una
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famiglia,
e un rapporto
purificato
in un’intimità
profonda e
totale. Esattamente
tutto ciò
che Isa, professore
universitario,
non può
donarle, per
incapacità,
difficoltà
(egoismo?).
E poi viene
l’autunno,
che è
il momento
della lontananza,
e della ricerca.
Abbattere
il cerchio,
provare a
liberare il
proprio cammino,
e il proprio
orizzonte.
E mentre piove
il cerchio
torna, come
torna l’inverno.
Che nelle
immagini di
Caylan è
il ricongiungimento,
o meglio la
chiusura,
triste, del
cerchio (il
film si apre
e si chiude
con Bahar
che piange
in silenzio,
lo sguardo
come perso
lontano).
Mentre la
primavera
è solo
in sogno.
E Bahar la
immagina:
come sorvolare
leggera prati
verdissimi,
e intanto
osservare
dall’alto
il saluto
della madre,
che è
come se non
fosse morta,
e sentire
che il rituale
ciclico si
è strappato,
e tutto può
cambiare.
Ma è
solo un’immagine:
fuori ancora
nevica, ancora
è inverno.
(recensione
di Mattia
Mariotti
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