IL PAPA' DI GIOVANNA
 
locandina il papà di giovanna

recensione il papà di giovanna

 
Dopo le proiezioni veneziane, circa "Il papà di Giovanna" si è sentito dire davvero di tutto. La premessa, che vuole essere amara e, per quanto consentito, indignata, sembra necessaria per affrontare in modo lucido il film di Avati. Un film sbagliato e superficiale, che costringe ad assistere a reazioni critiche inspiegabili, surreali, dolorose per mancanza di giustificazione intellettuale, irritanti per la pochezza teorica su cui si fondano e, al contempo, per la noncuranza con cui vengono placidamente esposte. Altro che uno dei migliori film del regista, come qualcuno ha sussurrato chissà su quali basi: "Il papà di Giovanna" è una cocente delusione. Lo si intuisce da subito, dai titoli di testa, da quella fotografia virata seppia che avvolge la vicenda, così pacchiana, così banale, da essere interpretabile solo come mero  
 
capriccio formale. Così come la contestualizzazione storica, di cui quella fotografia vorrebbe esserne la rappresentazione coerentemente filologica: perché quel periodo storico? Che motivo ha Avati di raccontare quelle storia in quella Storia? Il fascismo, la guerra, la resistenza: il regista passa al setaccio quegli anni con un procedimento di dietrologia che nulla ha a che fare con ciò che sta rac-   recensione il papà di giovanna
contando, e spinge a pensare che quello di “ricostruire” sia in realtà un pretesto per risultare semplicemente più appetibile in termini di presa commerciale. E quello che indispone, che proprio non va giù, è sentire da quelli che di cinema dovrebbero intendersi (non foss’altro che per il professionismo che, si voglia o no, a loro si attribuisce), elogi incondizionati al cast del film. Greggio e Francesca Neri dimostrano di non avere niente a che fare con l’attività attoriale. Non si sta parlando di giudizi estetici, soggettivi, di vagheggiamenti ermeneutici di stampo individualista. Sono aspetti dell’universo cinematografico che stanno innanzi agli occhi, di ferma e incontestabile oggettività, e mancarne il riconoscimento può essere solo una disarmante miopia analitica, o, forse, il risultato volontario di un esercizio critico appiattito, svuotato e inconsistente.

(di Lorenzo Donghi)


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