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recensione il missionario
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L'abito fa il monaco... ne siete sicuri? Una commedia simpatica veramente soprattutto se consideriamo, sempre per luoghi comuni, che la commedia è solitamente italiana o americana. Questo è un film francese, ambientato in un paesino delizioso dove la sensazione di calore proveniente dal sole è percepibile tanto quanto quella di chi ci vive. Mario è appena uscito di galera e dal suo modo di "interagire" è facile intuire perché sono stati 7 gli anni di prigionia. Dopo neanche un'ora di libertà, capisce che è il caso di allontanarsi almeno per un po' dalla città e far spegnere i bollenti spiriti che lo hanno accolto. Di chi si può fidare se non di suo fratello Patrick? Meglio ancora se il fratello in questione è un prete, un po' sui generis ma comunque prete ("ti rispettano sempre con questa veste"). Comincia la metamorfosi: Mario indossa |
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l'abito e diventa monaco. E fin qui regge il luogo comune... Si mette in viaggio per quel paesino delizioso dell'Ardèche dove lo aspetta Padre Etienne. Al suo arrivo il comitato di accoglienza è così composto: il sindaco, la gendarmeria al completo, una manciata di cittadini e un coro di voci bianche pronte ad intonare un inno religioso. Diciamo che le notizie volano con il vento, ma dallo spiffero dell'autobus che porta |
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Mario sino al paese sperduto, l'ex galeotto non ha recepito un'informazione fondamentale alla base di tutto questo "calore umano". Padre Etienne, parroco della chiesa da più di 50 anni, è morto proprio la sera prima e lui era il suo sostituto...o almeno questo è ciò di cui i personaggi del villaggio sono certi. Per più di una volta Mario è sul punto di lasciare quel posto dimenticato da Dio per raggiungere il fratello Patrick al quale affida alcune "commissioni", ma una serie di casi umani lo trattengono quel tanto che basta da farlo divenire guida spirituale (e non) delle poche anime. Dicevamo di Patrick... che succede se il monaco (di prima) si leva l'abito (sempre quello di prima) e cede alla lussuria e alla sregolatezza? Diciamo che non è la storia più originale del mondo, siamo d'accordo. Però la verve, il ritmo, i dialoghi, le battute, le situazioni affrontate con la "testa" e con il cuore, la cornice così suggestiva, il senso di pace e di serenità di quel paese che sembra dipinto da Monet e la vitalità con cui tutto è affrontato, far venir voglia di conoscere padre Mario, di confessare a lui i nostri peccati e le nostre paure. Un uomo di chiesa che è un malavitoso, un malavitoso che è un uomo di chiesa, una serie di personaggi che ruotano e si incastrano nelle vite di entrambi. Ogni fratello ha qualcosa da imparare e da scoprire nella veste dell'altro. La faccia dura e marcata di Mario, che in certe espressioni ricorda De Niro, ma anche quel suo lato buono solo per chi se lo merita, porta lo spettatore a volergli bene, a perdonargli qualsiasi suo gesto passato e a giustificare la sua natura un po' troppo "passionale". La simpatia, l'ingenuità, la voglia di vivere di padre Patrick sono i motivi per cui il pubblico spera che ceda almeno un po' alla sponda profana della vita, quella più terrena e meno ecclesiastica, quella più materiale e meno platonica. Cede, forse fin troppo... Un'oretta e mezza di risate ma non solo. Si mettono in atto le debolezze dell'animo umano, ma anche la sua forza e la sua generosità. Il potere di cambiare se stessi con piccoli gesti, di riconoscere che c'è vita anche in un luogo che tutto esprime tranne che vita. L'ingenuità ma anche la voglia di scoprire il mondo e i suoi peccati. Il cinema mette a nudo i personaggi, la vita mette a nudo le persone.
(di Alice Gala)
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