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recensione il mio vicino Totoro
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Consolidata ormai qui in Italia la fama di quello che viene considerato il Walt Disney del Giappone, la Lucky Red di Andrea Occhipinti distribuisce finalmente nelle sale uno dei suoi primi capolavori, quel Tonari no Totoro del lontano 1988, che gli appassionati italiani avevano potuto vedere solo in originale con varie sottotitolature. Trasferitesi in campagna insieme con il padre per poter stare vicino alla madre ricoverata in una clinica dei dintorni, due sorelline scoprono l'esistenza della mitica creatura fantastica Totoro, gigantesco incrocio tra un orso e un grosso gatto capace di librarsi in volo e di far crescere le piante, insieme ad altre creature come il Gattobus - un autobus con 12
zampe a forma di gatto - e gli spiritelli della fuliggine. Pressoché privo di trama e povero di azione (ad eccezione della lunga e spasmodica ricerca della piccola |
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Mei), Il mio vicino Totoro di Miyazaki è un film di pura poesia, avvolto in una dimensione quasi atemporale dove le immagini del vivere quotidiano e familiare scorrono sullo schermo in un susseguirsi di stupore e meraviglia a contatto con la magia silenziosa di Totoro. L'immaginazione e la fantasia di Miyazaki sembrano non conoscere limiti: indimenticabili la sequenza dell'attesa dell'autobus sotto la pioggia |
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e la magia notturna di Totoro nel giardino delle due bambine. Nel film, sceneggiato dallo stesso regista, vi si ritrovano poi tutti i temi principali di Miyazaki: l'innocenza dell'infanzia, il rapporto di derivazione scintoista tra uomo e natura - della quale Totoro è il guardiano secondo la tradizione nipponica -, il contrasto tra campagna e città, l'attenzione alla tradizione pittorica e iconografica giapponese. Totoro è il simbolo nonché il logo dello Studio Ghibli di Miyazaki.
(di Chiara Cecchini )
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