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recensione il
mio amico giardiniere
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Il regista di “Omicidio
in paradiso”,
Jean Becker, questa
volta regista del
film “Il mio
amico giardiniere”,
mette in scena una
storia di scambi esistenziali,
su sentimenti, valori
e dispiaceri della
vita. L’idea
per questo suo ultimo
film, Becker l’ha
avuta leggendo il
libro di Henri Cueco.
Il personaggio del
giardiniere di Cueco,
la sua personalità
semplice e spontanea
ha catturato l’immaginazione
del cineasta, tanto
che alla fine la realizzazione
del suo film si è
concretizzata. Un
rinomato pittore parigino
(Daniel Auteuil),
stanco di subire i
rumori e il caos cittadino
decide di trasferirsi
nella sua vecchia
casa di campagna al
centro della Francia.
La vita campagnola
è sicuramente
più salutare
e distensiva, ma il
grande appezzamento
di terreno che circonda
la casa ha bisogno
di una mano esperta
per essere curato.
Monsieur “le
peintre”, mette |
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un
annuncio
locale
per
assumere
un “giardiniere”.
Il primo
candidato
(Jean-Pierre
Darroussin)
che
si presenta
è
quello
giusto.
Un uomo
dal
volto
familiare,
dalla
risposta
schietta
e immediata,
dalla
battuta
ilare
e accondiscendente.
Alla
fine
i due
uomini
si riconoscono
in due
vecchi
compagni
di scuola:
memorie
passate
da cui
però
emergono
marachelle
indimenticabili.
Ed è
su questo
scena-
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rio di vita
passata, di
ricordi e
quotidianità,
che prende
forma la narrazione
intessuta
di momenti
di dialoghi
aperti tra
il signor
“giardiniere”
ed il signor
“pittore”.
Dialoghi intimi,
che elaborano
momenti di
vita in una
dimensione
di condivisione
d’aspettative,
di timori
e delusioni.
I due vecchi
amici ritrovati,
rivivono un
momento particolare,
simile ad
una nuova
adolescenza,
meno spensierata
però,
più
consapevole,
per esperienze
di vita ormai
vissuta. Ma
forte è
la percezione
di un legame
quasi fraterno,
che costituirà
per entrambi
il senso “nuovo”
per gli eventi
della vita:
disoccupazione,
malattia e
divorzi. L’intento
di Becker
era quello
di costruire
un’intesa
forte tra
i due personaggi,
basata proprio
sulle reciproche
diversità
di vedute
della vita,
tale da rendere
la forza dell’empatia
nel dialogo.
Ma, a parte
la buona recitazione
dei due principali
protagonisti,
il film non
convince.
Più
volte scivola
in tempi morti,
in dialoghi
ripetitivi
che, in alcuni
momenti, rasentano
la noia. Senza
dubbio, la
recitazione
di Auteuil
e Darroussin,
più
sciolta e
immediata
nella prima
parte del
film, alla
fine risente
negativamente
della nota
melodrammatica
della sceneggiatura.
Poco rappresentata
la metropoli
francese,
poco rappresentata
la campagna
francese,
luoghi da
cui si fugge
e in cui ci
si ripara.
Alla fine,
la luce del
sole che fende
le voluminose
fronde degli
alberi, la
rinascita
della natura
in quell’angolo
di giardino
curato dalla
mano e dall’occhio
di un giardiniere
attento, la
voce del silenzio
in quell’angolo
di mondo che
sublima le
percezioni
artistiche,
costituiscono
forse il messaggio
più
schietto all’intramontabile
speranza alla
vita.
(recensione
di Rosalinda
Gaudiano)
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