IL GRANDE SOGNO
 
locandina il grande sogno

recensione il grande sogno

 
Come Bertolucci in "The dreamers" anche Placido affronta il suo '68. Autobiografismo, impegno civile e sociale, i grandi sconvolgimenti della storia che fanno da sfondo ai piccoli sconvolgimenti privati nel processo di crescita e maturazione. Siccome l'ontogenesi ricapitola la filogenesi ecco che l'emancipazione di una società con il suo carico di sogni e prospettive d'uguaglianza infrante si specchia nel romanzo di formazione del singolo, nella sua educazione sentimentale, nella scoperta della politica e di un io che brama ad una pienezza esistenziale destinata il più delle volte a naufragare in quella mentalità borghese contro cui proprio si combatte. "Épater la bourgeoisie" si dice(va). Quello che non si sa(peva) è che la bourgesoisie si sarebbe ripresa la sua rivincita prima o dopo e senza colpo ferire. Una lotta  
 
titanica contro i mulini a vento perché tale è la natura dell'uomo e da se stessi non si scappa. Cosa rimane da dire sul '68? Gli scontri armati, l'occupazione delle università, le bombe molotov e gli anni di piombo che ne seguirono. La cultura, l'amore per le arti, il cinema e la letteratura. Rimangono quegli ideali che nella loro astrazione, nella loro idealità, fanno ancora tremare i polsi. Il pensiero di un mondo migliore,   recensione il grande sogno
più giusto, più solidale. Solo l'amaro senno di poi lo avrebbe definito velleitario, quel pensiero. Ma se "The dreamers", al di là degli eventi storici, scavava in profondità nelle psicologie dei protagonisti riuscendo a tirare fuori tutte le contraddizioni, le ingenuità e gli ardori vanagloriosi di quelli non a caso definiti sognatori - e lo fa grazie alla contrapposizione forte tra il dentro e il fuori, tra il chiuso delle 4 mura e l'aperto del maggio parigino - lo stesso non si può dire per il film di Placido (stesso significativo riferimento onirico nel titolo) che nonostante la dichiarata componente autobiografica (il personaggio di Scamarcio, poliziotto pugliese di stanza a Roma con la passione per la recitazione, rappresenta il regista da giovane) e quindi la partecipazione diretta alle vicende narrate anche se, in fin dei conti, abbastanza a latere (Placido/Scamarcio sembra più interessato al teatro e al cinema che alla rivoluzione), si mantiene ad un costante livello superficiale, in una mediocritas che non ha però niente di aureo, titubante tra il farsi cronaca o racconto appassionato, tra il narrare a distanza o l'immergersi e sporcarsi le mani. Così anche Il grande sogno del titolo finisce per diventare opaco, una zona indistinta dove si perdono finalità e obiettivi, inconcludente non per mirato giudizio critico ma per i limiti di una messa in scena che sa da un lato si sforza di apparire coinvolgente, dall'altro pare non sorretta da uno spessore contenutistico adeguato, guarda caso culminante in un finale sbrigativo con le solite scritte in sovrimpressione ad informarci sul destino dei vari protagonisti. Dopo "Romanzo Criminale", Placido ci riprova a dirigere un film corale sul passato recente del nostro paese ma quello che là appariva ispirato, riuscito, deciso, ne "Il grande sogno" rimane inespresso, imbrigliato, confuso. Come di consueto quando si tratta degli anni '70, grande la colonna sonora con molte delle hit rivoluzionarie dell'epoca, ma di rivoluzionario c'è poco altro. Tris di giovani attori di casa nostra tra cui spicca ancora una volta Riccardo Scamarcio, ancora una volta alla prese con un delicato ruolo da antidivo, da anti sex-symbol, timido e impacciato, bravo con naturalezza senza l'ansia di dover far dimenticare che è anche bello. E in un mondo dove Noemi Letizia, con le sole credenziali fornitele dal papi, si presenta a Venezia e, circondata dai giornalisti, dice di ispirarsi a Cameron Diaz, non è poco.

(di Mirko Nottoli)


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