IL GRANDE NORD
 

il grande nord - recensione

 
Il concetto cardine dell’esistenza scelta da Norman Winther è che “la scomparsa dei cacciatori paradossalmente impoverisce l’ecosistema”. Perché quando viene a mancare un anello della catena alimentare, alcune specie prendono il sopravvento soppiantandone altre. La fauna è strettamente interconnessa, dato che “la morte di un animale ne fa vivere altri cinque”. Fatta propria la pratica (non solo per la lavorazione del cuoio) dei nativi canadesi Sekanis, egli di fronte alla sua preda non chiede perdono, ma la ringrazia e le spiega i motivi per cui la uccide, elencando tutte le parti di lei che utilizzerà. Winther da molto tempo si è stabilito tra le montagne dello Yukon insieme a sua moglie May Loo del popolo Nahanni, due cavalli e sette cani da slitta. Non è però un quadretto idilliaco. Con l’avanzare delle compagnie  
 
del legno che saccheggiano l’ambiente, i due si spostano da una valle all’altra, costruiscono la loro casa con i tronchi, affrontano inverni a 40 gradi sottozero, c’e’ il pericolo di grizzly e lupi. Inoltre, la riduzione del prezzo delle pellicce da vendere per acquistare materiali, attrezzi e vettovaglie, ha spinto molti ad abbandonare l’attività o modernizzarla con mezzi tecnologici e l’ampliamento del raggio d’azione. Nicolas Vanier  
ama la Natura e l’avventura in luoghi come Lapponia, Siberia, Stati Uniti e Canada, da cui ha tratto libri, documentari e lungometraggi. In uno di questi viaggi ha conosciuto Winther e, intenzionato a raccontarne il quotidiano, per un anno e mezzo si è dedicato alle riprese di un ibrido docu-fiction: panorami imponenti, animali addestrati, cicli delle stagioni. Che danno un’idea della lotta per la sopravvivenza, della forza della Madre Terra, dell’internità degli ultimi cacciatori a questi meccanismi.


(di Federico Raponi )

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