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recensione il giardino di limoni
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"I limoni sono belli, ma non si possono mangiare." canta una canzone triste. Il campo di limoni affonda le radici in terra antica, seccata dal sole, contesa col sangue. Confine Israele Cisgiordania. Di fronte la vedova Salma, araba, e il ministro della difesa, israeliano. Gli alberi di limoni per raccontare la prepotenza accecata e accecante del governo israeliano, che costruisce muri e recinti, e che si scatena anche contro la natura: migliaia gli ulivi sradicati, terra sventrata con le ruspe, colline abbattute. Eran Riklis gira con la consueta delicatezza, dando vita a un'opera in cui, come già ne "La sposa siriana", si
mescolano malinconia e sorriso, vicenda privata e Storia collettiva. Quadretti di stralunata e sottile ironia (il ritratto severo del marito sulla parete, il soldato israeliano che si prepara a ridicoli test, solo sulla torretta) allentano la tensione, il senso |
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perenne di minaccia, ingiustizia, prevaricazione. Quello di Riklis è un apologo politico (ma non politicizzato) che si affida al racconto e alla poesia, che si sofferma sui vuoti stanchi, i silenzi tristi. Quello di Riklis è un tentativo di resistenza di fronte al moto di distruzione perpetua che sembra essersi impossessato di quelle terre. Terre scarnificate, piegate in confini di cemento, tagliate da recinti di metallo. Ma un tempo, e |
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forse non più, terre generose, tappeti profumati dal colore degli ulivi e dei limoni.
(di Mattia Mariotti )
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