|
|
|
|
il flauto magico
recensione
|
|
Potenza e fuoco, queste
le parole che meglio
descrivono l’ultimo,
bellissimo capolavoro
di Kenneth Branagh.
Lontano dagli schermi
da un pò di
tempo, una sorta di
esilio purificatorio,
dedicato quasi esclusivamente
al teatro (ricordiamo
un Riccardo III di
impressionante bellezza
al Royal Scottish
Theather di Edimburgo),
ed in particolare
al suo grande amore
che è Sir William
(Shakespeare of course),
il geniaccio irlandese
ritorna alla carica
con una delle più
belle trasposizioni
cinematografiche dell’opera
di Mozart. In un paese
dilaniato dalla prima
guerra mondiale si
sbizzarrisce il balletto
amoroso tra Tamino
e la bella Pamina,
figlia della Regina
della notte. Ad aiutare
Tamino nel suo intento,
la regina invia Papageno,
il custode degli uccelli.
Spinti entrambi dalla
passione e dall'amore
si confronteranno
con delle difficili
prove |
|
|
|
per
riportare
la luce
dove
ormai
regna
l’oscurità.
To be
or not
to be
….
Nulla
di tutto
ciò
stavolta,
nessun
dubbio
amletico
per
questo
film
dalla
soave
bellezza,
ma solo
una
grande
energia
e un
piglio
visionario
fuori
dal
comune.
Se Henry
V era
un bell’esempio
di teatro
filmato,
Much
ado
about
nothing
un piacevole
melting
pot
di colori
e suoni
così
come
Love
labour’s
lost,
è
con
Hamlet,
nella
suprema
versione
di quattro
ore,
|
|
|
|
che Branagh
riesce lì
dove Olivier
fallì:
riuscire a
portare la
luce della
modernità
all’opera
shakespeariana,
epurandola
da tutto il
cotè
dell’accademismo
e della didascalia.
Un’impresa,
quella di
Branagh, non
da poco ma
riuscita in
pieno, perché,
oltre alla
innata potenza
del verso,
il regista
aggiunge ritmo
e un cast
all star.
Il barocchismo
di Hamlet
si frange
e si completa
solo ora,
a dieci anni
esatti di
distanza,
proprio con
The Magic
Flaute, e
non sarebbe
errato considerarli
uno la continuazione
dell’altro.
Se il film
del 1996 si
apriva con
un pianosequenza
sul castello
di Elsinor,
anche questo
inizia con
un bellissimo
pianosequenza.
Al posto dei
campi innevati
c’è
un bel prato
verde, al
posto della
statua di
Hamlet Padre,
una trincea,
al posto della
mano del fantasma
che sguaina
la spada,
l’esile
mano di un
soldato che
raccoglie
un fiorellino.
Ritornano
i colpi d’occhio
e le immagini
di puro stampo
russelliano,
quelle dei
mantelli liquidi
e degli specchi
girevoli,
e tutto il
guardarobario
popolare che
deve essere
inserito in
una operazione
del genere.
Come in Hamlet
c’era
la cornice
dell’operetta,
stavolta siamo
dentro l’operetta
stessa, in
cui il regista
dimostra di
aver assimilato
una volta
per tutte
la lezione
del cerchio
armonico di
Ingmar Bergman
di Fanny e
Alexander,
e supera con
brillante
coerenza tutte
le trappole
che la trasposizione
della musica
classica può
riservare.
Dimentichiamoci
la messa in
scena fedele
e didascalica
di Bergman
e prepariamoci
ad un' esplosione
di colori
degna del
miglior musical
MGM o di Webber.
La macchina
da presa scivola
guizzante
e rapida tra
scenografie
visibilmente
finte e computerizzate
(tanto è
una favola
e il primo
a credere
al meraviglioso
gioco della
finzione è
proprio Branagh),
su volti di
attori sconosciuti
ma eccellenti
e in empass
molto old
style, con
sovrimpressioni
e montaggi
vertiginosi.
Branagh non
dimentica
di essere
anche stato
il Branagh
di Frankenstein
e quindi riutilizza
come se fosse
una trottola
impazzita
il dolly,
perché
se ci troviamo
dentro una
favola tanto
vale lasciarci
trascinare
fino in fondo,
e lo fa schiantare
dentro scenografie
distorte e
oggetti fetish,
creando una
sorta di incontro
inverosimile
tra Tutti
insieme appassionatamente
e Russ Meyer.
Se qualcuno
pensasse che
Shakespeare
sia stato
spazzato via
da Mozart,
si sbaglia
di grosso.
Dietro le
stupide baruffe
amorose dei
protagonisti,
dietro lo
scontro bislaccamente
naif tra bene
e male, scorre
nuovamente
tutta la potenza
del Bardo
e delle sue
commedie romantiche
come As you
like it e
Sogno di una
notte di Mezza
Estate. Triplo
sforzo, allora,
quello fatto
da Branagh,
ambientare
una storia
fantastica
in un periodo
storico ben
preciso, girare
un film e
non un teatro
filmato e
rendere fruibile
Mozart. Con
un patto con
il diavolo,
ascritto nel
suo D.N.A.
Branagh ci
riesce, grazie
al prezioso
contributo
del suo amico
Stephen Fry,
che ha tradotto
e ritoccato
in inglese
il libretto
dell’opera
e ha reso
molto più
snella tutta
l’operazione.
Una celebrazione
assurda e
kitch della
gioia dove
la musica
di Mozart
echeggia e
illumina le
anime, le
fa sognare.
Ed è
questo quello
che Branagh
e il suo cinema
ha sempre
fatto: celebrare
il sogno e
la gioia.
In breve,
un capolavoro
imperdibile.
(di Gabriele
Marcello
)
|
-
Scrivi la tua
recensione del
film "Il
Flauto Magico"! |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2005.
Tutti i diritti sono riservati.
|
|
|