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recensione il figlio più piccolo
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Pupi Avati come Woody Allen sforna ormai un film all'anno con puntualitą meccanica ed esiti altalenanti. E insiste con lodevole pervicacia in questa sua impresa caritatevole nell'offrire possibilitą di redenzione e riscatto recitativo ad alcuni non-attori del cinema di casa nostra, impresa cominciata anni fa con Massimo Boldi, proseguita con Ezio Greggio e approdata oggi, con Il figlio pił piccolo, al carico da novanta Christian De Sica. Come dire: se riesco a far recitare De Sica allora posso far recitare tutti. Ebbene, De Sica recita. Gli basta rimanere sottotono e, pur alle prese con un personaggio abbietto, riesce ad essere pił simpatico che negli spot della Tim. Speriamo che lo possa notare qualche altro regista quantomeno per evitarci la pena del cinepanettone ogni Natale. Il problema semmai sta altrove, in un film che nono- |
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stante la coralitą dei personaggi risulta privo di qualsiasi introspezione psicologica, tragicommedia che vorrebbe essere profonda seppur lieve e invece è solo superficiale. Tema centrale, ricorrente in Avati, quello del sempliciotto dallo sguardo puro e candido attorniato da un mondo di squali. Già Neri Marcorè e Antonio Albanese ne diedero prove migliori perché a differenza che nel Figlio più piccolo là non si pretendeva di |
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spacciare per ingenuità del protagonista l'insufficienza di una sceneggiatura evidentemente scritta con la mano sinistra. Oltre a De Sica tutto sommato promosso, segno più anche a Laura Morante, bella anche quando fa la nevrotica (cioè sempre) e al giovane Nicola Nocella, timido e sfigato al punto giusto. Segno più anche a Bologna che nonostante Avati non perda occasione per denigrarla rimane il set preferito dei suoi film, lo ripaga sempre con affetto e - detto per inciso - fa sempre una gran figura. Segno meno invece al parrucchino di Luca Zingaretti, a Sidney Rome Premio Rifattissima 2010 e alla finta aria da rocker impegnato di Omar Pedrini. Segno meno meno infine alle timide critiche sociali mosse all'attualità. Avati dichiara di voler denunciare l'amoralità della società contemporanea e tocca - en passant - le veline, le escort, le raccomandazioni per una comparsata in tv, i matrimoni di convenienza, le holding, i finti capitali, le scatole cinesi (vi ricorda qualcuno?), mentre in sala tutto il consiglio di amministrazione di Medusa Film - che produce e distribuisce la pellicola in 350 copie - si prodiga in lodi sperticate già pregustando forse i dati del box office.
(di Mirko Nottoli)
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