IL FALSARIO
 

recensione il falsario

 
Pare proprio che da un anno a questa parte il cinema tedesco ci regali dei lavori cinematografici degni di lode e ammirazione ( “Quattro minuti “ di Chris Kraus, “La vita degli altri” di Florian Henckel) che confermano una produzione di grande spessore ed interesse. “Il Falsario” Operazione Bernhard scritto e diretto dal viennese Stefan Ruzowitzki (“Tempo”, “The Inheritors”, “Anatomy”), riprende il tema della tragedia umana dell’Olocausto, questa volta in maniera insolita, con uno sguardo lucido e penetrante sulle contraddizioni delle coscienze di alcuni ebrei, deportati nei campi di concentramento nazisti. Salomon Sorowitsch ( Karl Markovics), ebreo, falsario eccellente, artista bohemien, viene arrestato e condotto prigioniero nel campo di concentramento di Sachsenhausen. In  
 
questo posto che nulla ha di umano, due baracche vengono tenute separate dal resto del campo e trasformate in un attrezzatissimo laboratorio di contraffazione di valuta. Tutto questo costituirà la nascita nel 1942 dell’Operazione Bernhard”, dal nome dell’ispettore Bernhard Kruger, specializzato in contraffazione, che guidò l’impresa. Progetto nazista macchinoso ed ambizioso che vedrà  
coinvolti alcuni prigionieri ebrei provenienti da più campi di concentramento nazisti, esperti tipografi, funzionari bancari, pregiati artigiani che, insieme a Salomon Sorowitsch, costituiranno il gruppo più organizzato e capace di raffinati esperti nella produzione di sterline e dollari falsi destinati dal governo tedesco ad essere immessi in grosse quantità sul mercato monetario dell’epoca per far crollare l’economia interna degli stati nemici. Lo scenario principale del film ruota intorno ai blocchi 18 e 19 di detenuti “d’elite”, uomini destinati alla segreta e prestigiosa causa nazista. Stefan Ruzowitzki pur affrontando lo scempio dell’Olocausto, non si sofferma su quella che fu una grande tragedia per l’umanità. Sorprende non poco, questo eclettico regista, per aver immortalato dietro la mdp le contraddizioni, le paure, i conflitti e soprattutto i sensi di colpa che tormentano le coscienze di questi uomini destinati a servire la barbarie nazista. Uomini vivi solo per una riprovevole causa, ma uomini vivi nonostante fossero aguzzini della loro anima, alimentata dalla speranza di una desiderata ed attesa sopravvivenza. Il conflitto di Salomon Sorowitsch con il suo compagno di blocco Adolf Burger (August Diehl) sulle discrepanti e divergenti voci delle rispettive coscienze sul significato della loro azione, così meschina nel consentire ai nazisti di attuare il loro piano, ma necessaria per mantenerli in vita, rappresenta in sostanza la conquista di un nuovo passaporto per varcare la frontiera della dignità calpestata, violata, massacrata con fame, calci, pugni, sputi, pisciate in testa, accettati senza poter muovere un muscolo. Scommettendo sulla personalità “eroica” del detenuto Salomon, uomo fisicamente antipatico, misterioso, interessato, le cui intenzioni restano a lungo ambigue, la regia compie e definisce un’opera mirabile, con parsimonia, attraverso una recitazione eccellente di Karl Markovics che delinea magistralmente il suo intrigo morale. Tutto in questo film è profondamente umano e vero: i carnefici e le vittime, il desiderio di sopravvivenza, il senso di colpevolezza, la vita interrotta …alla fine riemersa dal silenzio spettrale di un campo di concentramento nazista abbandonato dagli sconfitti aguzzini con la croce sul petto. Adolf Burger, lo stampatore professionista, è ancora vivo. Ha raccontato la sua storia nel libro “L’Officina del Diavolo” da cui è stato tratto il film. Nonostante i suoi 90 anni suonati gira il mondo per raccontare le sue indimenticabili esperienze di quel terribile periodo della sua esistenza.

(recensione di Rosalinda Gaudiano )

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