IL DOLCE E L'AMARO
 

recensione il dolce e l'amaro

 
Ambientato in Sicilia, Palermo, nel difficile quartiere Kalsa, il film di Porporati è la storia dell'iniziazione di un ragazzino che diventa ben presto "Uomo d'Onore" in un Mondo dove il "diritto del più forte" ancora prevale. La storia si snoda attraverso 25 anni, nel corso dei quali Saro (Lo Cascio) diventa un "rispettabile" Uomo di Cosa Nostra e, successivamente, decide per amore di ricominciare una nuova vita, con l'aiuto di un giudice ex-amico d'infanzia e della donna che ha sempre amato. Il nuovo film dell'ex-sceneggiatore della Piovra e di Gianni Amelio (ai tempi del controverso e sottovalutato "Lamerica") svolge diligentemente il suo compìto senza spiccare il volo. Non è detto che sia necessario farlo: sul mondo della Mafia anche il cinema si arrende alla sua inevitabilità, raccontando quel mondo senza una vera invettiva critica ma con  
 
un certo qualunquismo che motiva la scelta "fatalista" (ma "amara") dell'autore. Può infastidire che il tono del film sia la disponibilità alla "conn(v)ivenza", co-me se questa Realtà debba ormai uniformarsi alla Storia del Nostro Paese. La qualità che maggiormente risalta, al di là di alcune sequenze stilisticamente dignitose, sta soprattutto nell'approccio "culturale" del Linguaggio Mafioso, cfr. l'affermazione per cui  
il bianco è il nero e via dicendo, e nell'attendibile inviolabilità ("indulto culturale"?) dei membri di "Cosa Nostra", simbolo di un Potere modellato su quello dei Governanti democraticamente eletti. E' l'aspetto più interessante di un film che non ha per il resto particolari meriti, nemmeno nella riuscita sequenza iniziale, con i ragazzini in visita presso il carcere dove è rinchiuso il padre, un Boss, durante una rivolta carceraria (la stessa visita ricorda fin troppo le prime sequenze dell'"Aria salata"). Si ricompone la coppia Lo Cascio-Gifuni che, pur su fronti opposti, è facile ribattezzare oggi "La peggio gioventu'". E l'ex-eroe (cfr. LoCascio) dei "Cento passi" diventa l'eroe in Negativo di una scelta che è facile strumentalizzare ai fini del compiaciuto rito familiare (edipico?) dove tutto ciò che è amorale passa in secondo piano. La redenzione (cfr. il pentitismo) di Saro è frutto dunque di un'arbitrario espediente individuale (la donna che ama, il padre assassinato in carcere) e non - come potremmo sperare - di una reale conversione verso valori meno disposti a sporcarsi le mani di sangue. E in ogni caso, è sconcertante che il Nostro beniamino (mentre narra la sua storia sembra pretendere dallo spettatore un riconoscimento, o una mera comprensione) passi inerme da un Rito stile Bronx (De Niro) alla violenza di Goodfellas (Scorsese) senza battere ciglio. Riesce miracolosamente a conservare la sua faccia d'angelo nonostante assista cinicamente all'assassinio di due ragazzini trucidati davanti ai suoi occhi. Lo stesso contesto del Padre rimpianto e vendicato apre strani scenari, visto che dall'inquietudine che porta Saro a lasciare la Sicilia e il Clan abbandona non soltanto il tetto coniugale ma anche un figlio (!?). Il tutto per raggiungere una donna che ama e che lo ama, nonostante un tentativo di violenza carnale, e tanti pestaggi di cui sono state vittime gli uomini che avrebbero potuto assicurare a lei un futuro migliore. "Cosa ti importa di un padre che non hai conosciuto?" chiedono a Saro. E in fondo cosa ci importa di un film le cui egoistiche ragione spingono il protagonista a combattere per la sua "ragione di vivere"? Tutto sommato poco, ma una risata ci seppellirà: almeno in quell'epilogo, sappiamo di aver preso tutto troppo sul serio"

(recensione di Luca D'Antiga )

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