anzi dopo l'incoronazione deve addirittura farsi portavoce di una nazione che si approccia ad una sanguinosa guerra. Per questo accetta di farsi aiutare da un bizzarro logopedista australiano dai metodi poco ortodossi, che lo segue con la dovuta discrezione nel suo cammino verso un eloquio fluido quale si conviene ad una testa coronata. Il regista Tom Hooper (“The damn United”) si tiene ben distante dal caricaturismo così come dalla retorica e riesce invece a tratteggiare un personaggio enigmatico e, allo stesso tempo, intelligibile perché venato da quell'insicurezza che è incuneata nell'agire quotidiano di tutti. Ma il vero re del film non è certo il regista, che a dire il vero pecca più volte sia di coraggio visivo che di raffinatezza nel connettere le sequenze. Chi regna incontrastato è Colin Firth, un Giorgio VI che sembra disegnato per vincere premi e che davvero non delude le aspettative. Al suo fianco Helena Bonham Carter nei panni di Elizabeth: affettuosa e partecipe come non l'abbiamo mai vista. I punti di forza della pellicola sono senza dubbio la fotografia, che sfrutta una tavolozza fatta di grigi e verdi che sembra rimandare a certi film di Mike Leigh. Di ottimo livello anche la scenografia di Eve Stewart, la quale ha sapientemente deciso di rinunciare allo sfarzo per privilegiare l'oppressività di luoghi angusti come sale di registrazione e angoli domestici. Le scelte musicali sono a tratti impeccabili, in particolare nei pezzi sinfonici perché questi vanno di conserva con la terapia seguita dal protagonista, basata sul tentativo di musicalizzare e caricare di furore la parola pronunciata per renderla fluida e senza esitazioni. Meno azzeccate le musiche fuori dal repertorio classico, enfatiche in punti dove non se ne sente la necessità. In complesso il film convince perché ben scritto e ben recitato; impossibile, tra l'altro, non citare la bellissima interpretazione di Geoffrey Rush nei panni del logopedista. Eppure il tocco borghese di Tom Hooper lascia spazio per fantasticare su quale opera di regale preziosità sarebbe potuta scaturire dalle mani di qualche altro cineasta. Il primo nome che viene in mente è Aleksandr Sokurov, la cui trilogia del potere farebbe balbettare i glorificatori del “Discorso del re”.
(recensione di Marco Santello )