IL DIAVOLO VESTE PRADA
 

il diavolo veste prada recensione

 
Presentato Fuori Concorso, ma già annoverato tra i film di punta della prossima stagione, "Il Diavolo veste Prada" è senza dubbio l'evento della Mostra di Venezia 2006. Trasposizione del best-seller di Lauren Weisberger (ben sei mesi in testa alle classifiche del New York Times dei libri più venduti), il film ha ottenuto un ottimo seguito in America, dove moda, costume e cattiveria sembrano essere un ottimo pane quotidiano. Il rapporto stretto tra il fashionable e le working girl non è certo materia originalissima, pensiamo alla cenerentola che diviene principessa della Borsa di Wall Street, Melanie Griffith in "Una Donna in Carriera" di Nichols; la povera sprovveduta di Brooklin sopporta le angherie della elegante e perfida Sigourney Weaver, clone di Chanel. Battuta chiave allora fu "Vesti male e noteranno il vestito, vesti  
 
impeccabilmente e noteranno la donna". Alla fine la povera Tess (il personaggio della Griffith) riuscirà a concludere un importante affare e a trovare l'amore. Stavolta la situazione non cambia molto. Andy sbarca a New York con una laurea e un curriculum da far paura ed una sola intenzione: sfondare a New York. Le offerte sono due: o lavorare presso l'Auto Universe oppure fare da assistente di Miranda Priestley.  
Lei sceglie la seconda ed inizia il suo inferno: Miranda è la direttrice di una rivista di moda di fama mondiale, Runaway, e tutto ciò che fa e dice è un ordine. La vita della piccola Andy inizia a divenire un inferno ma la sua carriera inizia a decollare vertiginosamente... Ispirata alla vera figura di Anna Wintour, guru della moda e direttore di Vogue, il personaggio di Meryl Streep è un villain da applauso: perfetto, glaciale, spassoso. Una sorta di Crudelia Demon che al posto dei dalmati preferisce scuoiare giovani segretarie e farle divenire delle isteriche. Il suo verbo cardine è lavorare sempre e comunque. Indubbiamente la performance della Streep è formidabile e non va presa con troppa leggerezza, come del resto tutto il film. Non solo una commedia salace ma un vero e proprio ritratto al vetriolo delle smanie contemporanee dell'apparire e del mostrare, delle ultime tendenze necessariamente inutili, perché in tutta questa futilità è necessario sapere chi è Dolce e chi è Gabbana e non bisogna confonderli in alcun modo. Il film ha una sceneggiatura deliziosa, ottimo esempio di trasposizione, sebbene alcuni passaggi risultino un pochino fiacchi e non sempre alcune scelte drammaturgiche e comiche siano all'altezza delle performance, su cui si staglia anche quella di Anne Hathway, perfetta vittima sacrificale, e del compassato e spassoso Stanley Tucci. Il film risulta poi imperdibile per gli orfani dello storico "Sex and The City", sia per il gusto fashion che per quella perfetta commistione di dramma e commedia che ha reso lo show della HBO un must. Non sorprende che il regista si sia fatto le ossa proprio in quel serial e che la costumista sia la stessa che ha vestito per ben sei stagioni Carrie & company. Al di la di tutto, il film è graffiante e si ride con gusto, ma c'è un avvertimento: vedetelo dopo aver fatto shopping, altrimenti rischiate di correre in giro a prosciugare la carta di credito in borse di Gucci e top di Verace.

(di Gabriele Marcello )

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