IL COLORE DELLA LIBERTA'
 

recensione il colore della liberta

 
Nelson Mandela (interpretato dal convincente Dennis Haysbert, visto in “24” nei panni di un futuro presidente USA) trascorse quasi trent’anni in prigione prima di riuscire a ottenere la libertà. Condannato per atti di terrorismo in virtù della carica di leader del movimento anti-apartheid, fu controllato a vista dalla guardia carceraria James Gregory (Joseph Fiennes dotato di rictus espressivo pressoché monolite). “Il colore della libertà” è tratto dalle memorie scritte e pubblicate del secondino, che ebbe modo prima di diffidare dell’uomo che combattè la segregazione (gli controllava la posta censurandola e tagliandola, ascoltava le conversazioni con la moglie durante le visite) e poi di credere nella sua rivoluzione, cambiare punto di vista e compiere scelte fondamentali. Da padre che affida al  
 
generico volere di Dio la spiegazione per un pestaggio di neri alla domanda “perché?” della bambina, ad amico coscienzioso e sostenitore dei diritti civili del futuro Presidente del Sud Africa. Il danese Bille August (abituato a gestire melodrammi in celluloide e qui citiamo “La casa degli spiriti” ) accentua il lato più letterario della vicenda a scapito di passaggi densi di passione civile che potrebbero coinvolgere la platea  
aldilà dell’indiscutibile importanza del tema. Tributa il dovuto rispetto all’intreccio di vite e storia contemporanea, pennella sensazioni ondivaghe (ammirazione, noia, interesse, retorica stagnante) e dipinge una tela alla quale, purtroppo, manca la dovuta dimensione del pathos.

(recensione di Daniela Losini )


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