RECENSIONE - IL CIGNO NERO
 
 

di Rosalinda Gaudiano (****)

 

di Andrea Dispenza (***)

Darren Aronofski questa volta ci conduce nel mondo affascinante e leggiadro della danza classica con Nina (Natalie Portman), ballerina del New York City Ballet, che ambisce da sempre al ruolo di protagonista. L’occasione si presenta con “Il lago dei cigni” di Tchaikovsky e Nina anela con determinazione ad interpretare la doppia parte di Odette-Odile che nell’opera classica sono il cigno bianco ed il cigno nero. Odette, la ragazza casta e pura intrappolata in un corpo di cigno, che brama la libertà che le può essere restituita solo dal vero amore. Solo un principe può liberare Odette dall’incantesimo, dichiarandole vero amore. Ma questi viene sedotto dalla lussuriosa gemella Odile, il cigno nero, che lo ammalia e lo conquista, gettando nella disperazione il cigno bianco che si suicida gettandosi da una rupe. Può Nina interpretare entrambe le   L'infinita ricerca di un equilibrio attanaglia da sempre ogni essere umano. Uomo o donna che sia, o addirittura cigno. Lo stesso Chajkovskij faceva danzare in punta di piedi un principe sottomesso alla sua volontà e un cigno bellissimo, vittima di un incantesimo. Il primo invidiava la leggiadria e la libertà del maestoso pennuto. Il cigno invece, ne desiderava le sembianze umane. Una ricerca dell'equilibrio dominata dall'amore, quello folle, che suggerisce drastiche decisioni. La stessa ricerca di equilibrio – che non arriverà mai – fa da sfondo all'ultima pellicola di Darren Aronofsky. Uno dei registi più controversi e azzardati che ci sia in circolazione. Reduce dal Leone d'Oro con The Wrestler, torna ora con una simile intensa produzione: Black Swan. Forse anche più difficile. I cazzotti e il sentimento del wrestling professionale hanno rappresentato un
 
 
 
personalità contrapposte dei cigni? Nina che cerca con meticolosità maniacale la perfezione nel controllo millimetrico dei muscoli del suo corpo, nella sincronia dei movimenti delle sue membra, con una sottomissione alla regola e all'obbedienza da inchiodarla in una dimensione priva di slancio autentico e di sentimento? Per lei calza alla perfezione la parte del cigno bianco, ma l'interpretazione del cigno nero è altra cosa: è trascendenza pura da se stessi, fino a sorprendere se stessi, è avvenenza, seduzione, piacere libidinoso, è arte senza freni, senza ingabbiamenti e frustrazioni, è capacità di gestire la volontà e la vita stessa. Ed è sul registro di questo contrapposto dualismo identitario dei due cigni che Aronofski delinea con incalzante maestria il dualismo della personalità di Nina, gestita in toto da una madre (Barbara Hershey) iperprotettiva e depressa, responsabile della schizofrenia compulsiva della figlia che non risparmia sul suo corpo aggressioni improvvise ed incontrollate. La leggiadria del corpo che danza, che si libra armonioso seguendo le note sublimi di Tchaikovsky, nei volteggi eterei, si veste di un'animosità sensuale e cattiva, convincente, quando Nina giunge sul palco e, dopo un crescendo di lotte interiori si “veste” del suo doppio malefico, interpreta il cigno nero, diventa l'esemplare pennuto, trionfa nella sua performance, la assume alla perfezione, e perfetta alla fine riscatterà se stessa. Thriller psicologico che esula dai canoni naturalistici, “Il cigno nero” fa esplodere la sua potenza in un crescendo di scene (catturate in parte con la mdp a spalla) che raccontano la lotta interiore, la forza visionaria della follia, la ricerca maniacale di Nina di esprimersi attraverso una innaturale sensualità, unica via che può condurla alla libertà. Nina vuole essere la regina dei cigni, e questo la porterà alla ribellione nei confronti della sua angosciante madre, dicendole, mentre fugge via: “Io sono la regina dei cigni, tu sei quella che non ha mai lasciato il corpo di ballo”. Senza alcun dubbio, come è sua consuetudine, Aronofski ha scelto un registro non usuale per raccontare la sofferenza di una personalità maniaco-compulsiva, con un risultato encomiabile nell'aver catturato passo dopo passo con la sua mdp l'emotività malata di Nina. Quasi un pedinamento costante (ci sovviene la tecnica usata dai fratelli Dardenne!), un fiato sul collo, sul viso, dietro le spalle di Nina. La straordinaria e realistica interpretazione di Natalie Portman rende credibile l'idea di fondo su cui Aronovski ha strutturato la scrittura filmica. Film complesso nel suo insieme di ricerca di una forma stilistica non convenzionale, “Il cigno nero” è un piccolo capolavoro che assorbe, conquista e avvince in ogni attimo della sua visione.





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  vero nocciolo duro da portare al cinema, poiché parte di un ambito ancora riservato e per una certa élite. Che dire allora della danza classica, un universo tanto affascinante e poetico quanto ancora troppo chiuso e isolato agli estranei. Di certo Aronofsky ha organizzato un incontro – tra lo spettatore e le punte, i tutù, i fouetté en tournant (i giri alla seconda) – davvero senza mezze misure. Con un tripudio di disequilibri fisici e mentali. Si assiste ad un susseguirsi di agitazioni e atmosfere inquietanti e contorte. Inganni e confusioni che solo il tema del doppio, mille volte già affrontato al cinema come in letteratura, è in grado di trasportare. Prima la grazia e la sensibilità di un'eterea etoile della danza classica – Natalie Portman regala una prova d'attrice eccelsa – poi ecco l'ossessione e il timore per la disperata ricerca, che porta il regista a confrontarsi con virtuosismi eccessivi. Fuori luogo se semplicemente abbinati al classico e longevo Lago dei cigni . Perfettamente inseriti, però, se il movimento delle macchine diventa un tutt'uno con i sentimenti dei personaggi che inquadra e, di conseguenza, con quelli di chi osserva. Si tratta di battaglie maniacali e impulsi oscuri di quella prima ballerina così aggraziata e perfetta sulle punte ma senza quella carica erotica necessaria per esprimersi al grande pubblico con il corpo come una vera etoile dovrebbe fare. Un sublime cigno bianco – candido, innamorato e innocente – che non è in grado, ancora, di restituire altrettanto pathos quando interpreta il cigno nero nella drammaturgia del balletto– ma che poi sarà nella vita – così ingannevole e sensuale. L'equilibrio continuamente nemico, appunto. E quando c'è qualcosa che ossessiona così tanto un essere umano (che sia la ricerca della perfezione o di un'identità o la scoperta dei piaceri del proprio corpo dopo una vita così pudica e rigorosa) si rischia di contaminare totalmente l'anima della stessa ossessione. È così che Nina, la prima ballerina interpretata dalla Portman, non si limita a studiare la variazione del Cigno Nero, ma si trasforma, per davvero, nel Cigno Nero. Imperanti manie di persecuzione di fronte allo specchio, nei camerini, sul palco, fino a quando la candida e aggraziata fanciulla diventa gelida e psicopatica. Non si capisce cosa accade veramente e cosa impazza tra i suoi pensieri, elementi a volte addirittura psico-horror – quasi alla Hitchcock – e a volte quasi splatter che fanno delle inquadrature un vero e proprio thriller psicologico. Tutto è triturato, la realtà e l'immaginazione. Afonosky rende possibile tutto questo e lo fa in un luogo inatteso, eccitante e faticoso – piedi che sanguinano dalla troppa fatica – come quello del balletto di repertorio. La continua odissea non crea distinzioni nemmeno tra l'ascesa e il crollo di una ballerina, tra la vita e la realizzazione dell'arte, tra l'inquietudine e la cattiveria. Tra il dolore fisico e la pazzia. Tra una mutazione che non ha equilibrio, nemmeno alla fine, quando l'erotismo diventa voglia di vincere, questa diventa perdita di un'identità e, a sua volta, si trasforma in crisi di panico. Il caos. Cosa succede? Si mescola tutto, fino al tripudio di sangue. Se ne esce sconvolti, solo un giorno dopo almeno si capisce l'emblema di tanta – studiata – confusione. Il tutto ben condito con la leggiadria delle note di Chajkovskij. Agli sguardi intensi, anoressici e così toccanti della Portman – meritato Golden Globe per l'occasione – corrispondono quelli così profondi e pieni di vendetta di Winona Ryder nel ruolo della prima ballerina surclassata e fallita ma ancora maledettamente perfetta. Che la pellicola non piaccia ai fedelissimi del balletto tradizionale, non stupisce. È la complessità del cervello umano, in questo caso, a fare la differenza.





 
 
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