tornare alla normalità e vivere una sessualità felice. Questo film è un viaggio dalla paura alla libertà. Il Mito della teta asustada è radicato nella realtà andina ma non è scientificamente provato, così la protagonista riceve metaforicamente la violenza e la guerra attraverso il seno materno e il film passa dalla sfera dell'inconscio di Fausta a quella dell'esteriorizzazione anche attraverso il canto, che si pone come mezzo di comunicazione importante e decisivo nella ricerca della guarigione. Infatti il canto di Paloma è un canto di libertà. La regista ha cercato di rendere prezioso ogni gesto di Fausta e anche il sangue che frequentemente gli esce dal naso doveva sembrare una goccia di caramella, perché la bellezza potesse esaltare, per contrasto, la sofferenza che attraversa questa donna, la cui esperienza è simile a tante altre.
Il canto di Paloma è stato prodotto anche con la collaborazione dell'Istituto Cervantes e Amnesty International. Ottima prova registica per la promettente Claudia Llosa che ci mostra con sensibilità tutta femminile le ferite irreversibili della guerra, in questo caso devastanti nel corpo e nell'anima di una donna. Ottima anche l'interpretazione degli attori, dovuta anche alla ricerca attenta e costante della faccia giusta, che nel cinema dovrebbe essere sempre rispettata a dispetto della celebrità.
(di Sonia Cincinelli)