IL CACCIATORE DI AQUILONI
 

recensione il cacciatore di aquiloni

 
Marc Foster, prolifico e discontinuo regista del riuscito "Monster's Ball" e del lezioso "Neverland" inscena l'omonimo romanzo di Khaled Hossein "Il cacciatore di Aquiloni" utilizzando maniera e didascalia estetizzante a profusione. I protagonisti sono due ragazzini nella Kabul degli anni settanta, l'uno figlio di un esponente di etnia nobile con la passione della scrittura, l'altro figlio del lavorante di famiglia (il ragazzino che lo interpreta somiglia in modo straordinario al nostrano Totò Cascio di "Nuovo Cinema Paradiso"). Condivideranno avventure, sfide, la passione per gli aquiloni e la lettura. Un atto di grave omissione li allontanerà nell'amicizia, un atto di orgoglio e la storia (l'invasione dei russi) li separerà irrimediabilmente. L'uno riparerà in America, seconda culla che non gli negherà la realizzazione delle aspirazioni, l'altro si perderà nella polvere  
 
dell'oblio, fino all'irrompere di una telefonata determinante. L'opportuna redenzione del meschino, in ultima battuta La regia è pedante, lussuosamente mediocre nonostante i mezzi a disposizione e le possibilità, accompagnata da una colonna sonora pomposa che aggrava la pesantezza della visione. Dal corso della trama, s’intuisce l'enorme potenziale narrativo inespresso della vicenda scritta. Dal racconto  
per immagini (ralenti, ridondanze, inutili inquadrature fisse senza pathos) è evidente l'incapacità di trasferire allo spettatore qualsivoglia coinvolgimento emozionale. Si rimane concretamente a terra mentre vorremmo volare leggeri nel magma di volti, situazioni, dialoghi e drammatici rivoli di racconto. Come successe ad altre analoghe "operazioni" (l'ultimo fallimento in ordine di tempo è stato "L'amore ai tempi del colera") si scivola sul terreno accidentato della pura ambizione cinematografica irrealizzabile.


(recensione di Daniela Losini )


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