IDENTIKIT DI UN DELITTO
 
locandina identikit di un delitto

recensione: identikit di un delitto

 
Primo film girato in inglese per il regista nativo di Hong Kong Andrew Lau (o anche Wai-Keung Lau), che dopo essersi cimentato con la trilogia dell’acclamato "Infernal Affairs" da cui poi Scorsese trasse “The departed”, torna dietro la macchina da presa con uno psycho-thriller dalle tinte forti. Forti sia per l’argomento trattato, crimini a sfondo sessuale (su donne, su minori, feticisti, guardoni e quant’altro), sia perché sono molte le scene in cui la rappresentazione della malvagità e della perversità umana viene spiattellata nuda e cruda agli occhi del pubblico in sala. Protagonista un Richard Gere sempre in buona forma, alle prese con un personaggio complesso, un funzionario del Dipartimento per la Pubblica Sicurezza che ha il compito di controllare i maniaci sessuali in libertà vigilata, il “Flock” che è il titolo originale del film  
 
(letteralmente il gregge, il branco). I suoi metodi sono molto poco ortodossi, al limite della legalità (anzi sicuramente oltre!), ma proprio per sottolineare il fatto che quelle persone devono essere trattate alla stregua di animali feroci pronti a colpire. Sotto questo aspetto è ben reso il terribile ambiente che lo circonda: Lau ci mette in guardia mostrandoci come questi ex detenuti si reinseriscono nella società in varie  
forme, un commesso fotografo in un grande magazzino, una tranquilla parrucchiera, un innocuo uomo di colore che vive isolato in una roulotte. Ed è proprio questo il tema centrale del film: il rapporto tra vita privata e vita pubblica, tra il comportamento che si tiene in pubblico e come invece ci si comporta nel privato, quando non possiamo essere visti e quindi giudicati. L’eterno dualismo tra apparire e essere, che tanto spazio ha avuto nella letteratura: le maschere che ognuno di noi porta con sé, che ci aiutano spesso a gestire le varie situazioni quotidiane. Sebbene le premesse ci siano, il film non sfrutta appieno tutte le sue potenzialità, da quelle attoriali a quelle registiche. Ci sono è vero degli ottimi sprazzi di genialità creativa, soprattutto durante i flashback in cui la fotografia e il montaggio frenetico li rendono molto coinvolgenti, ma sono solo momenti nell’arco di un intero film troppo piatto a livello di ritmo. Il problema è che lo spettatore non riesce veramente ad essere catturato come dovrebbe, a rimanere col fiato sospeso per più di tre minuti, e ciò incide inevitabilmente sull’interesse globale verso il film. Le capacità di Lau sono indiscusse, ma il fatto che negli U.S.A. il film sia passato direttamente nelle custodie dei dvd deve far riflettere sulla completa riuscita del film.



(di Mauro Missimi )


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