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RECENSIONE
- I RE E LA REGINA |
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Nell’alludere
alle relazioni sentimentali
della protagonista
svelate poi nella
trama, “i re
e la regina”
evoca come immagine
anche un contesto
fiabesco-mitologico,
o quantomeno un tempo
remoto. Due elementi
propri, in qualche
modo, dell’ambito
psicanalitico. E in
una clinica per disturbi
mentali si svolge
infatti una parte
consistente della
vicenda; questo luogo
sembra, per contrasto,
quasi un’isola
di vita piena fatta
di schiettezza, innamoramenti,
sesso, sprazzi di
ilarità, con
un eroe - messo lì
dentro contro la sua
volontà –
che non si fa problemi
ad indossare una cappa
sulle spalle per uscire
di nuovo nel mondo.
Un problematico, esuberante,
magnetico poeta capace
di trattare con un
bambino introverso.
Inadatto però
ad adeguarsi ad un
esterno in cui anche
dietro ai rapporti
più profondi
si celano rancori
covati, che quando
esplodono |
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scuotono
tutto.
Un “ciclo
del
dolore”,
un ritratto
femminile
complesso
di luci
ed ombre,
due
belle
prove
recitative
di Emmanuelle
Devos
(“sulle
mie
labbra”,
“l’avversario”,
“la
donna
di Gilles”)
e Mathieu
Amalric
(“Munich”).
Il regista
e co-sceneggiatore
Arnaud
Desplechin
(autore
di altri
quattro
lungometraggi,
questo
è
il primo
ad arrivare
in Italia)
polarizza
due
registri
- comico
e tragico
- però
saturandoli
macchinosamente,
e vi |
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inserisce
un campionario
di personaggi
sopra le righe:
un fidanzato
che non esita
a spararsi
dopo una lite,
una sorella
sbandata,
un musicista
ferocemente
vendicativo,
un piccolo
già
adulto (“sei
felice?”
“Assolutamente”),
un avvocato
drogato, un
padre che
nasconde fino
all’ultimo
il dolore
del suo tumore
e l’odio.
Perché,
sostiene Amalric,
“la
vita è
un romanzo:
è il
cavallo di
battaglia
di Arnaud.
Viviamo grandi
cose, da cui
il titolo
rois et reine”.
Ma con tributi
ad Apollinaire,
Yeats, Dickinson,
l’amore
rimane solo
citato (“significa
non dover
chiedere”,
“è
insegnato
da un’impronta
di memoria”)
tra simulazioni,
rifiuti, surrogati.
(di Federico
Raponi )
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