I GATTI PERSIANI
 
locandina i gatti persiani

recensione i gatti persiani

 
In ogni regime totalitarista nessuno può gridare liberamente la propria oppressione, o rivendicare la negata libertà d'espressione. Il rischio è la galera, se non la condanna a morte. In Iran ormai, da tempo, vengono negati diritti civili e sociali e non è concesso a nessuno rivendicarli. "I Gatti Persiani", presentato al Festival di Cannes, "Un Certain Regard", premio speciale della giuria, è il quinto lungometraggio di Bahman Ghobadi ("Il tempo dei cavalli ubriachi"). "I Gatti persiani"é una voce che si leva impetuosa dal sotterraneo mondo giovanile (Ghobadi paragona questi giovani ai preziosissimi "gatti" persiani, che non possono oltrepassare l'uscio di casa perché vietato dalla polizia locale), una rivendicazione forte contro soprusi e negazione di libertà individuali. Anche in questo caso, il cinema è uno strumento unico di divulgazione di una  
 
situazione sociale e politica ai limiti dell'umano, sopportata da un popolo oppresso. La storia è quella di un ragazzo (Ashkan Kooshanejad) e una ragazza (Negar Shaghaghi), nei guai con la giustizia, che usciti di prigione decidono di formare un gruppo musicale rock. Pur sapendo che il regime proibisce simili espressioni artistiche, Negar e Ashkan cercano altri musicisti nell'ambiente underground di Teheran, facendo   recensione i gatti persiani
molta attenzione a non farsi scoprire dalla polizia. Ma il sogno dei due ragazzi non si ferma alla creazione di un gruppo musicale, supera i confini del proprio paese e viaggia verso una libertà d'espressione per loro da raggiungere ad ogni costo: è il sogno che li fa sentire vivi e attori della loro sorte. Bahman Ghobadi ha girato "I Gatti persiani" in soli diciassette giorni, con una telecamera 35mm-Dolby, girando in moto, con la troupe, per le vie di Teheran, per raccontare con coraggio la cruda realtà sociale del suo paese. La musica è il soggetto per eccellenza, il filo conduttore che accompagna il ritmo e il dinamismo della vita di Teheran, mostrando la città con le sue miserie, la povertà, gli enormi casermoni di cemento, le donne velate, ma anche l'immancabile occidentalizzazione. Ashkan e Negar sono proprio questi, figli del loro tempo ma anche figli di uno spazio che li tiene prigionieri, loro che hanno una carica di vitalità, una voglia di vivere, conoscere e confrontarsi con il mondo intero. Ghobadi racconta la gioventù soffocata di Teheran, anche figlia della globalizzazione, che agisce nei sotterranei, sfidando momento per momento un regime che vieta che si portino cani e gatti per strada, che le donne cantino e che si possa suonare l'Indie-rock. Senza mai cadere nel lamentevole, Ghobadi denuncia l'oppressione, la corruzione delle forze dell'ordine, la disperazione con ritmo incalzante e coinvolgente. Non ha certamente seguito il modo di fare cinema di Kiarostami, di cui Ghobadi e stato a lungo assistente alla regia. Il suo cinema è più immediato, più potente, forse anche più interessante, come ha affermato Mamad Haghighat. E' un cinema di forte denuncia, fatto con maestria ed intelligenza, che si muove su più registri, dalla commedia che pervade tutta l'opera, al dramma finale, quasi un epilogo inevitabile in un paese ricco di secolare cultura storica, ma costretto da anni a sottomettersi ad un fanatismo politico-religioso. Il tutto condito da una straordinaria e strepitosa colonna sonora.

(di Rosalinda Gaudiano)


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