HEREAFTER - RECENSIONE
 
locandina Hereafter
Locandina "Hereafter"

Hereafter - recensione

 
La morte, l’aldilà non sono temi usuali per Clint Eastwood, lui che ha fatto della concretezza la sua cifra stilistica. Ma a 80 anni compiuti si vede che certe domande comincia a porsele anche lui. Tre storie, tre personaggi, tre diverse esperienze di dolore e perdita. Hereafter è un film dalla sfiga facile: lo tsunami in Thailandia e gli attentati alla metropolitana di Londra evidentemente non bastavano, non si fa mancare nemmeno il bambino ucciso investito da un auto, la madre eroinomane, la ragazza violentata dal padre in tenera età. Eastwood ritrova qui le atmosfere cupe e i drammi disperati a tinte fosche di Mystic River con la differenza che qua il finale si apre a uno squarcio di luce che là mancava. Probabilmente ha ragione chi ha giudicato Hereafter come una prova minore all’interno della filmografia del regista. Alle prese con un  
 
soggetto talmente archetipo, Eastwood è abbastanza intelligente da non spingersi troppo oltre. Coś anche le poche visioni sull'aldilà si limitano a poche ombre confuse. E' abbastanza intelligente da non oltrepassare quella soglia dopo la quale alla domanda si sostituirebbe la risposta, perché qualsiasi risposta sarebbe stata insufficiente per non dire stupida. Ma è altresì vero che se nessuna risposta è possibile anche   recensione Hereafter
la domanda risulta velleitaria. Per tre quarti di film seguiamo le tre vicende che procedono parallelamente e autonome in attesa del momento in cui incocceranno l'una con l'altra ma quando questo avviene il risultato è al di sotto delle aspettative. Sviluppo lineare e morale trasparente, Hereafter non è che non sappia confezionare momenti toccanti o pizzicare corde sensibili. Eastwood tratta il materiale con estrema discrezione, lo maneggia con riverenza, evita pacchianerie extrasensoriali, rischia l'eccessiva semplificazione (Matt Damon sembra una sorta di x-men), riesce a ironizzare perfino sui tanti chiaroveggenti ciarlatani che dicono ispirarsi a questa o quell'altra pseudoscienza. Al centro stanno la solitudine quasi mitologica del sensitivo, la destabilizzazione dell'anchor-woman in carriera, il senso di abbandono del bambino. A ben vedere quelle di Eastwood sono ancora storie di uomini che trovano nella bravura degli interpreti il perfetto medium per essere incarnate, su tutti il sempre eccezionale Matt Damon (al secondo film consecutivo con Eastwood il quale ha posticipato le riprese del film per averlo) e la notevolissima presenza femminile di Cecile de France. Per Woody Allen e per Pupi Avati un film all'anno è troppo. Eastwood invece fa un film all'anno e non sbaglia un colpo. Per Hereafter le cronache ce lo danno in mutande con la cinepresa in spalla immerso nei flutti dell'oceano hawayano per girare la scena - sconvolgente per realismo e potenza - del maremoto. Inesauribile. Ed è già in procinto di lanciare il prossimo, il biopic su J. Edgar Hoover con Leonardo di Caprio.

(recensione di Mirko Nottoli )


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