HARRY POTTER E L'ORDINE DELLA FENICE
 

recensione harry potter e l'ordine..

 
A che punto siamo? Dove eravamo rimasti? Harry Potter, la scuola di magia di Hogwarth, gli zii cattivi, i genitori ammazzati, le cicatrice sulla fronte, lord Voldemort, Albus Silente, gli amichetti di sempre, Draco Malfoy, il prigioniero di Azkaban… insomma gira e rigira è sempre il solito tran tran. In libreria sta uscendo il settimo ed ultimo capitolo, il cinema insegue staccato di due lunghezze. O sono tre? O una soltanto? Vabbè, ammettiamo di essere in difficoltà nel ricostruire la vicenda del mago occhialuto, forse ne abbiamo perso anche qualche pezzo per strada (e chi si ricorda?), ma la sensazione è proprio quella di una ruota che gira a vuoto, che gira e rigira su se stessa senza andare da nessuna parte. Si prenda questo “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”. C’è Harry, c’è la scuola, c’è Ralph Fiennes senza naso, c’è una  
 
vicenda tutta interna al racconto che lascia il tempo che trova e non presenta apparenti sviluppi. C’è Lord Voldemort sempre nell’aria, lo si cita in continuazione come a voler coprire i buchi, perché in fondo è l’unico collante di questa estenuante saga, ma è un collante ormai sfilacciato tale da mostrare la corda. Magari ci verrà detto tutto all’ultima puntata, i perché e i per come, chi è Harry Potter, chi è Voldemort,  
perché ce l’ha con lui e perché lui sembra l’unico in grado di contrastarlo, magari ci verrà spiegato tutto e sarà una spiegazione geniale al pari di un’illuminazione, ma il brodo allungato è sempre brodo allungato e non piace a nessuno, anche perché l’acqua non costa niente. Una sola informazione ci viene data ai fini generali del racconto e cioè che il padre di Harry non fu uno stinco di santo come il figlio pensava ma uno stronzo come tanti che irrideva il povero sosia di Renato Zero (sarà stato per le diverse inclinazioni sessuali? Prematuro caso di discriminazioni sessuali tra maghi?), ed è quello l’unico momento vero e sincero di tutto il film. Per il resto il solo sentore del procedere della storia è il procedere dell’età anagrafica dei protagonisti, a cominciare dal piccolo Potter che ormai ha la barba, gli ormoni impazziti e prima della fine ce lo ritroviamo palestrato con i tatuaggi e la canotta. Da qua la parziale conferma del nostro timore che a livello letterario Harry Potter sia uno dei successi più immeritati nella storia della letteratura. Una sceneggiatura carente e di ridotto respiro, invenzioni narrative piatte e risibili (si veda il gigante citrullo) stanno a dimostrare tutti i limiti della Rowling nell’imbastire intrecci complessi, nel dar loro spessore, nel saper tirare le fila di più trame e fornire più livelli di lettura. E infatti non si va mai oltre la pura referenzialità, con tutto che è sempre esattamente e banalmente quello che sembra. Harry Potter è un gran mago ma gli dobbiamo credere sulla fiducia perché a conti fatti sembra sempre uno sprovveduto buono solo a giocare a quiddich. Cast al gran completo che vede uno smisurato spreco di attori con, unica novità, lo sconosciuto David Yates alla regia preferito ai nomi più di grido dei precedenti capitoli. Intanto tutti si stanno chiedendo che fine farà il piccoletto. Intanto il suo destino è già stato scritto: forse muore, forse no. Intanto c’è chi protesta, chi si oppone, chi prega e chi firma petizioni. Intanto la Rowling si sollazza convinta di essere la più figa autrice del secolo. Intanto Daniel Radcliffe recita nudo a teatro (ma dovrà svestirsi di ben altri panni). Intanto il prezzo della benzina continua a salire.


(recensione di Mirko Nottoli )


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