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Hancock non è
come noi. Ma non è
nemmeno come ‘loro’,
quella (ormai) nutrita
schiera di supereroi
che siamo abituati
a vedere al cinema.
Non porta tutine attillate,
non cerca il dialogo
con le persone comuni,
né tantomeno
di nascondere la sua
vera natura, agendo
all’oscuro o
vivendo sotto mentite
spoglie. Lui, “Hancock”
(un ancora una volta
convincente Will Smith),
non si cura dei giudizi
altrui, vive come
un barbone, quasi
sempre ubriaco. È
scontroso e facilmente
irritabile, e nonostante
cerchi sempre di salvare
il prossimo, gli ‘effetti
collaterali’
delle sue imprese
sono la sola cosa
che la gente ricorda.
Tanto da non essere
più desiderato,
perché il mondo
non ha bisogno di
un eroe ‘come
lui’. Difficilmente
inscrivibile in un
genere preciso (ma
non è detto
che sia un male),
questa commedia d’azione,
così |
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definita
dallo
stesso
Smith,
punta
molto
sul
lato
umano
del
protagonista,
più
che
sulle
sue
imprese.
È
davvero
così
irascibile
e menefreghista
questo
strano
supereroe?
O dietro
quella
sua
ruvida
intrattabilità
c’è
dell’altro,
come
è
convinto
Ray
Embrey
(Jason
Bateman),
dirigente
di una
società
di pubbliche
relazioni
–
felicemente
sposato
con
una
Charlize
Theron
dallo
sguardo
magnetico
–
salvato
da Hancock? |
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Il problema
dell’integrazione,
l’amore
forte e potente
che supera
i confini
ma che rende
più
deboli, il
‘porgere
l’altra
guancia’
perché
è il
bene comune
che bisogna
perseguire:
tante le tematiche
di fondo,
e importanti.
Che tuttavia,
se da un lato
costituiscono
la particolarità
della pellicola,
dall’altro
pesano sulla
trama, che
a ben guardare,
nonostante
la tanta carne
messa sul
fuoco, sembra
arrestarsi
dopo il colpo
di scena centrale,
quello che
forse sarebbe
dovuto essere
lo snodo narrativo
principale.
Altro aspetto
che a tratti
rende il film
meno fluido
– pur
senza spezzarne
troppo il
ritmo –
è il
taglio comico
che si è
voluto dare
alla sceneggiatura,
tale a volte
da rendere
alcuni passaggi
eccessivamente
macchiettistici
e poco funzionali.
Con tutto
questo il
regista Peter
Berg (“The
Kingdom”)
non cade nella
tentazione
della parodia,
com’era
stato per
la mitica
serie tv degli
anni ’80
“Ralf
supermaxieroe”
(“The
Greatest American
Hero”).
Nell’ammissione
di vulnerabilità
da parte di
Hancock, c’è
l’ammissione
della fragilità
del mondo
intero. E
dietro il
suo cercare
comprensione,
c’è
la richiesta
d’aiuto
di una società
che, in fondo,
ha ancora
bisogno di
eroi. Perfino
di quelli
imperfetti
come Hancock,
forse poco
super ma,
di sicuro,
umani.
(di Giulia
Mazza )
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