HALLOWEEN - THE BEGINNING
 

recensione halloween

 
Difficile ricondurre l’ultimo film di Rob Zombie all’interno di una nomenclatura da antologia del cinema. Remake e prequel, omaggio o rivisitazione, “Halloween – The Beginning” sembra piuttosto reclamare a gran voce lo statuto di opera autonoma, che intrattiene ovviamente suggestioni e rapporti con il classico di Carpenter, ma avanza licenze di soggettività d’autore distribuite su più livelli. Impossibile (e analiticamente sbagliato) chiedere dunque al film di Zombie di essere la versione aggiornata del primo “Halloween”, lontano trent’anni da questo e inserito in un contesto storico in cui cinema e pubblico erano profondamente diversi da quelli attuali. Zombie lo sa bene, e si dimostra coerente nell’affrontare il progetto senza angosce di maniera o di smaccata cinefilia, onesto nel mostrarsi senza  
 
reticenze in quelle che sono le sue marche caratteristiche, già immediatamente riconoscibili nonostante la minuscola filmografia alle sue spalle. Impossibile non riconoscere il suo tocco in certe scelte, dall’iconografia post-Slipknot di Myers giovane a interessanti risultati visivo/sonori durante gli omicidi perpetrati. Chiarito questo, il lavoro di rilettura dell’opera convince negli intenti ma non negli esiti. Nel suo tentativo di  
emanciparsi dall’originale, Zombie compie uno sconvolgimento narrativo (l’introduzione, piuttosto corposa, relativa all’infanzia di Michael) che si rivela nel corso del film una scelta riduttiva, in quanto nega l’assolutizzazione del male operata da Carpenter e riconduce la figura di Myers a una dimensione umana e comprensibile, che orbita intorno all’equazione, piuttosto scontata, tra infanzia difficile e degenerazione mentale. Se la forza di Carpenter stava nel non detto (e quindi caricava il mostruoso di significati atavici e irrazionali, una sorta di cattiva coscienza della middle-class americana), quello di Zombie è un soggetto deviato da una famiglia di mentecatti (a dire il vero, abbastanza stereotipata), vittima prima che carnefice. Ora, l’operazione è legittima. Ma l’orchestrazione che ne deriva non sembra convincente nel ritratto globale del Baubau: serial-killer piuttosto che mostro, Myers perde fascino (rappresentativo) e significato (concettuale). Inoltre appare evidente che il regista americano fatichi a scandire un ritmo coerente con i meccanismi dello slasher movie, che richiedono una sintassi tarata sulla suspense e sull’attesa per evitare di generare una sarabanda caotica e roboante di corpi maciullati e truculenti versamenti di sangue. Il suo film appare claudicante, sfilacciato soprattutto nella parte centrale, e affida molto al finale, che non riesce comunque a supplire le mancanze della precedente narrazione. Già investito del titolo di regista cult, al terzo film Rob Zombie dà prova di trovarsi meglio quando impegnato in una rielaborazione (rifondazione?) estetica dei canoni dell’horror, occupandosi di meccanismi rappresentativi, distorsioni dell’immaginario, creazione di soggetti/situazioni permeabili ed eclettici (lo testimonia “La casa del diavolo”, capolavoro del regista e lavoro obiettivamente notevole). Altro è, d’altronde, cimentarsi in un progetto come “Halloween – The Beginning”. Appuntamento immancabile per pochi aficionados, resta un film piuttosto incolore per chi ha ancora in mente il Rob Zombie del finale di “The Devil’s Rejects”.

(recensione di Lorenzo Donghi )


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