GUIDO CHE SFIDO' LE BRIGATE ROSSE
 

recensione

 
Giuseppe Ferrara il regista-reporter di film come “caso Moro” , “Falcone” e “donne di mafia” torna ad occuparsi di uno dei periodi più bui della nostra storia recente. L’Italia degli anni di piombo, del movimento operaio, della strage di via Fani. Lo fa con il suo solito stile documentaristico dal quale è veramente difficile separare la finzione dalla realtà. Genova, 1978: Guido Rossa (Massimo Ghini), militante del partito comunista, lungi dall’approvare e dal fiancheggiare l’azione delle Brigate Rosse, assieme ai suoi compagni, ne osteggia la diffusione in fabbrica. Il suo impegno civile e politico di sindacalista operaio lo porterà ad esporsi senza paura contro le azioni terroristiche della cosiddetta “colonna genovese”. L’epilogo sarà dei più tragici. Per Ferrara la visione politica è inscindibile da quella cinematografica e in questa opera lo conferma nuova-  
 
mente, proponendo un contesto di tensione sociale credibile e distaccato. Merito anche della scelta operata di girare nei luoghi veri della vicenda, nello stabilimento della ex Italsider. Ora, anche se il paragone con “Buongiorno Notte” di Bellocchio è quasi inevitabile, la pellicola in questione analizza meno le dinamiche interne al gruppo armato. Si concentra, invece, nella creazione di un ritmo narrativo più vicino ad un  
“romanzo criminale” (paragone questo da prendere con le dovute cautele). Si perché, al di la delle tematiche politiche trattate, “Guido che sfidò le Brigate Rosse” è un film che non annoia. Lodevole la prova di tutto il cast artistico, soprattutto della intensa Anna Galiena, nel ruolo della moglie di Rossa. Scene di repertorio si alternano al girato senza mai invadere e creando un valido esempio di “footage” cinematografico. Nonostante il low budget e la fredda accoglienza riservatagli a vari festival, il film mostra che è possibile caricare lo spettatore di una istanza riflessiva, senza stancarlo con dialoghi prolissi e durate interminabili. Girato nel 2005 in occasione del centenario della CGIL, solo oggi trova distribuzione (grazie anche al contributo dell’Ilva Spa). Rammarica la scarsa visibilità data all’opera di Beppe Ferrara, regista del reale come non mai. Speriamo che in futuro si rivaluti il genere documentario come prodotto artistico utile non solo a fiction televisive ma alla nostra memoria storica, sociale, politica e culturale.

(recensione di Massimiliano Micci )


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