GRANDE, GROSSO E VERDONE
 

recensione

 
Tre storie, tre personaggi, tre aggettivi: Grande, Grosso e Verdone. La nuova fatica di Carlo Verdone vorrebbe tornare alle origini della sua comicità, riproponendo la formula di successi quali Bianco, Rosso e Verdone, Un Sacco Bello e Viaggi di Nozze. Glielo hanno chiesto i fan e lui ha accettato con il benestare del produttore Luigi De Laurentis. Nasce Grande, Grosso e Verdone con la volontà di essere una sorta di sequel morale di Viaggi di Nozze. I tre protagonisti infatti non sono altro che Giovannino, Furio e Ivano, anche se con nomi diversi, ma con gli stessi pigli, gli stessi tic, gli stessi atteggiamenti nei confronti della società. I fan sicuramente apprezzeranno, anche se è facile prevedere una certa delusione nel confronto con precedenti così divertenti, ma il film non si può definire  
 
riuscito. Grande, Grosso e Verdone è scritto con troppa rassegnazione per una società che non ci piace. Una commedia, dovrebbe mostrare il re nudo davanti ad una folla festante, e invece qui vengono mostrati i vestiti a terra, il corpo nudo del re, ma non lo sberleffo, non la sfilata tra la gente che si sganascia. Il candido Leo, devoto a Dio, alla moglie Tecla, ai suoi due figli e al corpo dei boy scout, 12 anni fa sarebbe stato il prefe-  
rito di Verdone. Carino e buono non fa altro che cacciarsi nei guai. Era lui il protagonista della morale di Viaggi di Nozze. In Grande, Grosso e Verdone, invece, è relegato a mero momento divertente. Il problema è che il ritmo è fiacco, le battute non hanno i tempi giusti e spesso sembrano vecchie e scontate. Adesso il vero preferito dell’autore è Moreno, coatto arricchito che nel grande albergo elegante non fa altro che dare laute mance a tutti mettendosi involontariamente in mostra e alla berlina. Lui e la moglie Enza (una Claudia Gerini in gran forma) sono l’emblema dell’italiano medio che guarda i reality, le trasmissioni sportive e non sa comunicare con i propri figli. Questo è l’episodio più riuscito, anche se sembra tutto già visto, moralistico e fuori tempo massimo. Molto didascalico e profondamente triste è l’episodio con il professor Callisto Cagnato, emblema di un Italia nepotista e volgare che fa dello scambio di favori tra persone potenti il vero fulcro della nostra società. Fastidioso, odioso, e purtroppo mai divertente, ha il “pregio” di farci vedere ciò che già sappiamo sulla nostra classe dirigente. Grande, Grosso e Verdone è un film crepuscolare, triste e amareggiato su un’Italia che Verdone non riconosce più. Spettori avvisati, qui non c’è niente da ridere.


(recensione di Sara Sagrati )


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