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Locandina "Gorbaciof" |
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Il titolo non vi tragga in inganno. Gorbaciof non è un biopic sull'ex presidente dell' ex Unione Sovietica. E' solo il soprannome del protagonista della storia, laido contabile del penitenziario di Poggioreale, Napoli, per via di una voglia sulla fronte simile, ma neanche tanto, a quella di quell'altro più famoso Gorbaciov Michail. Gorbaciof parla poco (dirà 4 parole in croce: vedo, carta, chip e sto), si cambia ancora meno, gioca a poker prendendo in prestito alla bisogna i soldi dalla cassaforte del carcere. Impagabile Toni Servillo, uno dei pochi attori in circolazione in grado di reggere da solo il peso di un intero film, trasformista capace di usare le armi del distacco e della caricatura per rendere attendibili stravaganze e nefandezze, ed eventuali incongruità di sceneggiatura. La scuola è quella di Paolo Sorrentino: silenzi perseverati, inquadrature |
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spiazzanti, azioni preferite alle parole, centralità del commento sonoro (non a caso firmato da Teho Teardo come già ne L'amico di famiglia e Il divo), oltre ovviamente alla presenza dell'attore sorrentiniano per eccellenza. Incerti dimostra di aver appreso la lezione pur senza raggiungere quei livelli di complessità linguistica e semantica. Perchè Gorbaciof resta in tutto e per tutto un film di genere solo venato di un romanticismo |
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dolente che però lì rimane relegato e frustrato dalla più casuale delle contingenze, film nobilitato da un grande interprete, che cita "Pulp Fiction" e "Romeo+Juliet", che aspira ad essere un "Carlito's way" partenopeo nell'inscenare una vicenda individuale di esistenziale fallimento, quella di un outsider che vive ai margini della società e della legalità, dalla condotta di vita discutibile ma con una sua intransigenza morale che, come nelle migliori tradizioni di caduta e ascesa all'insegna del "solo l'amore ci può salvare", intravede nell' affetto per una giovane ragazza cinese un'ormai insperata via di fuga e riscatto. Purtroppo per lui, e dire che dovrebbe saperlo, le conseguenze dell'amore non sono da sottovalutare. Mai!
(la recensione di Mirko Nottoli )
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