GLI AMORI DI ASTREA E CELADON
 

recensione

 
"Nel V Secolo, al tempo dei Druidi, il pastore Celadon e la pastorella Astree si amano. A causa della sua gelosia Astree lascia Celadon che, disperato, si butta nel fiume. Salvato da alcune ninfe, dovrà superare alcune prove per spezzare la maledizione (Promessa fatta all'amante di non rivederla più). Dedicato alla memoria del regista Pierre Zucca, scomparso due anni fa, che avrebbe voluto coronare il sogno di una Riduzione Cinematografica del romanzo "L'Astrée" di Honoré D'Urfe (un testo barocco in Versi e Prosa scritto tra il 1607 e il 1625) il nuovo film di Rohmer è una Favola Mitologica dove è facile ravvisare gli elementi tipici del cinema di Rohmer. Più che blanda nostalgia, nel veterano regista francese si esprime un'Idea di cinema in stato di grazia, un Passato che, come come sottolinea l'introduzione, ancora non è stato  
 
contaminato dall'"impurità" del Progresso, e dove la Campagna Francese ha ancora le stesse suggestioni (ma, attenzione, "espressiva" e non Espressionista) di "Une Partie de Campagne" del sommo vate Renoir. Un mondo traboccante di belle maniere e lievità, di Alberi dedicati agli Dèi (e messaggi d'amore scritti nella corteccia con inappuntabile metodologia grafica), di Ninfe e Druidi, di Divinità Ancestrali, di rispetto per la  
Natura, ed è come se il Tempo, più che fermarsi, aderisse al bisogno e al Disincanto di sostenere la contemplazione più Vera: l'unica forma di Nichilismo e Resistenza alla frenesia del Mondo Contemporaneo. Certo, il suo cinema è faticoso da seguire, anche quando racconta i sentimenti di oggi (La Trilogia delle Stagioni in particolare). Può sembrare un paradosso, che possa apparire astruso o, peggio, incomprensibile, un modo tanto semplice e inappuntabile di fare Cinema, ma oggigiorno sì, la Lentezza ci appare una sorta di pericolo costante, di Alienazione alle regole che ci siamo imposti. E senza contare la fotografia del film, splendida, quando restituisce ai paesaggi un'Ascesi Atemporale, un'Utopia naturistica, come i secoli trascorsi fossero passati invano... e a tutto ciò aderiscono attori che, nell'esibizione dei propri ruoli, delle grazie irridescenti e dell'efebicità (diciamolo) anche Moderna della vicenda, entrano nella Storia come per sfiorarla, ma ne sono in qualche modo sopraffatti e coinvolti. Ed è questa Magia capace di restituire al suo Cinema (quello che a qualcuno sembrerà forse giustamente "altezzoso") una Forma di continuità anche Fisica e Spirituale con un Presente avverso alla staticità contemplativa. Il privilegio degli spettatori è quindi quello di ambire (forse inconsciamente) a un Eden mentale "privato", dove poter ritrovare la propria Forma (perduta?) di soggetti attivi alla dimensione dell'Esistenza: sia che possa essere quello della Morte o della Vita, della Rivelazione o della Maschera (anche sessuale). Lo si intuisce dai bellissimi dialoghi del film, fedelissimi alla Prosa del testo originale come "Dovunque si trova la virtù, merita di essere amata e onorata") oppure ancora (dalle parole di Celadon, il protagonista) "La natura vuole che ciascuno ami il suo simile"(?!). Che dal suo percorso di ex-amante perduto e Ritrovato, ora esiliato nel bosco, ora nei panni di una Saffica Fanciulla pronta a riconquistare il suo Ruolo (quello perduto o quello ambiguamente colmato?) trova la collocazione a un'opera di raro equilibrio: capace com'è di supportare ironia smaccata e penetrante ambiguità, splendide nudità rivelate o appena abbozzate, clamorosi giochi di sguardi: il tutto senza un filo di malizia e volgarità, con l'allusività di un passato che, sì, talvolta è più persuasivo del presente".

(recensione di Luca D'Antiga )


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