economica), costretta a una radicale re-invenzione di se stessa. Soldini si conferma regista attento: affabulatore di qualità, rischia poco e confeziona in modo impeccabile. Stoico nel resistere alle tentazioni, non inciampa nel patetismo, evita saggiamente di urlare il dolore. Ma la sua autenticità, che vorrebbe tradursi in un realismo disincantato, appare accondiscendente e consolatoria. Alcuni spunti

narrativi (il rapporto col padre disabile; la pacificazione con il genero mai sopportato) appaiono gratuiti, incasellati con millimetrica precisione per strappare un sorriso; l’ironia è ingenua e studiata a tavolino. Non c’è sottinteso, non c’è astrazione. Soldini gioca con le reticenze, ma finisce per dire tutto. Anche il finale, del resto, rassicura più del necessario. Opera sincera e innocua: nulla di fuori posto, ma lascia l’impressione di crollare al primo colpo. Bella, invece, la Genova del film. Combattuto tra mare e monti, stanziato contro un cielo perennemente plumbeo, il suo tappeto di case offre un suggestivo controcanto all’azione.