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giardini in autunno
recensione
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Il più delle
volte le chicche vanno
cercate come le perle
nelle ostriche. A
differenze delle bufale
che ti vengono a cercare
loro. Così
accade che “Giardini
in autunno”,
gioiellino firmato
Otar Iosseliani, regista
georgiano ma parigino
d’adozione,
bisogna andarselo
a cercare col lanternino,
facendosi largo tra
megaproduzioni hollywoodiane
strombazzate e gonfiate
in misura ingiustificata
(lo stesso The Departed
non è il capolavoro
di Scorsese che vogliono
farci credere). Un
gioiellino si diceva,
dove Iosseliani riesce
a cogliere un respiro
squisitamente bunueliano,
nelle atmosfere e
nelle situazioni,
nel gusto per l’assurdo
e nel surreale senso
di understatement
che costantemente
crea uno scarto tra
l’abnormità
delle azioni e la
normalità delle
reazioni. E ancora
c’è Bunuel
nella ridicolizzazione
del potere, nella
frivolezza della borghe- |
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sia
(e del
suo
fascino
discreto!),
nella
reiterazione
degli
eventi
accettati
dagli
astanti
in maniera
paradossalmente
impassibile,
nel
disseminare
la narrazione
di simboli
impropri
come
i frequenti
animali
che,
a detta
del
regista,
fungono
da simboli
dei
vizi
umani,
in realtà
percepiti
come
oggetti
stranianti
nel
contrasto
costante
che
creano
col
contesto
in cui
sono
inseriti,
pratica
del
resto
cara
a e
brevettata
da |
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tanta arte
surrealista.
Un’opera
pesante come
solo le opere
leggere sanno
essere, divertente
e intelligentemente
condotta sul
filo dell’ironia
e del paradosso
che può
talvolta dare
adito ad interpretazioni
apparentemente
macchiettistiche,
in realtà
funzionali
a calare la
vicenda in
una dimensione
astratta,
al di fuori
da coordinate
spazio-temporali
ben determinate.
In effetti
siamo a Parigi
ma solo le
targhe coi
nomi delle
strade ce
lo dicono,
il protagonista
è un
ministro ma
non sappiamo
di cosa e
se lo sappiamo
non è
importante.
Perché
il gioco sottile
messo in scena
da Iosseliani
rimane lì
perennemente
in bilico
tra realtà
e astrazione,
un gioco che,
pur non possedendo
un vero e
proprio sviluppo
narrativo,
scorre fluido
e coinvolgente
fino ad un
finale poetico
ed etereo
come forse
solo i finali
dei film francesi
sanno essere.
Come nei film
di Bunuel
in cui bombe
esplodono
senza motivo
perché
tanto c’è
sempre qualche
fantomatica
cellula terroristica
in agguato
(e le bombe
esplodono
senza colpo
ferire), anche
qui tutto
ci viene mostrato
ma nulla ci
viene spiegato.
La sola idea
di fare interpretare
la madre del
protagonista
dal grande
Michel Piccoli
in modo smaccatamente
evidente racchiude
il senso di
quanto fin
qui detto:
Bunuel, surrealismo,
straniamento,
astrazione
(e non macchietta,
considerato
che la prima
non è
connotata
mentre la
seconda sì!).
Del resto
si parla di
valori universali,
non di contingenze,
tanto universali
che se scendiamo
per un attimo
nel particolare,
l’assurdità
della cosa
ci appare
in tutta la
sua forza,
visto che
nel mondo
reale, non
nel mondo
reale di Iosseliani,
un ministro
quando viene
licenziato
non viene
cacciato di
casa a calci
seduta stante,
ma diventa
tutt’al
più
presidente
di una qualche
regione…
Il potere
logora? Forse,
ma poco importa,
l’importante
è che
dopo ci ritroveremo
tutti in un
bel giardino
in autunno,
a bere, a
mangiare,
a suonare,
a dipingere,
a conversare,
a brindare,
finalmente
a vivere.
(di Mirko
Nottoli)
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in autunno"! |
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