GHOST SON
 

ghost son recensione

 
Assistere alla proiezione di "Ghost son" significa catapultarsi per direttissima nelle atmosfere tipiche dei film de' paura alla "Babykiller" o "Chucky, la bambola assassina" ma in genere, immergersi nella completa filmografia dei baby indemoniati. L'eroina (la carnale e carnosa Laura Harring, ben di dio da mettere sotto protezione tra docce malandrine, occhioni impauriti e forza combattiva) incappa in un amore totalitario (il mingherlino John Hannah visto in "Sliding Doors" e "La mummia") al punto che decide di trasferirsi in Africa con l’amato nonostante i cattivi presagi e gli insopportabili assilli. Tra leggende locali, vecchie menagramo, aracnidi grossi come gattini, iene addomesticate dalle bistecche al sangue lasciate a scongelare finisce che i morti appaiono in sogno e (no, NON telefonano) ma pure che tormentino il  
 
generoso petto dei vivi, pizzicandolo lussuriosi. Il lascito amoroso partorito dopo i canonici nove mesi, si trasforma nel maligno contenitore ideale per sfogare l'ira della mancata promessa (perché il defunto fidanzato esige amore eterno, letteralmente) ma la donna non ci sta: vuole vivere e così, il diavolo 'mbutu s’incacchia e son radici di mandragora amara per tutti. Mentre il piccolo mostriciattolo s’ingegna, il nostro  
Lamberto Bava (che stracita il padre omaggiandolo ovunque) sguazza nell'immaginario primitivo dell'amato - e compianto per certi aspetti - genere horror che fu, inscenando classiche porte che sbattono, rumori nella notte, ululati e neonati ghighi malefici. Non ci fossero quelle scene che richiamano risatine volontarie (non metti un pupo a spruzzare vomitino verde né qualche azzardata pruderie più che allusiva così, a caso) in taluni momenti ci si spaventa nonostante le risultanze effettive dell’anacronistico, folle e organizzato pastiche. De gustibus non est disputandum. ‘Mbutu.

(recensione di Daniela Losini )

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