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recensione: gardener
of eden
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Adam, venticinquenne
scansafatiche e “bamboccione”,
si chiede ripetutamente
perché le cose
cattive capitino sempre
alle persone buone.
Lo fa tra una canna
e una birra con gli
amici un po’
sfigati, lo fa per
riempire il vuoto
di un’esistenza
compromessa da una
mancanza patologica
di scopi e progettualità.
Una sera, ubriaco
e con i nervi a pezzi,
decide di picchiare
a sangue la prima
persona incrociata
per strada: guarda
un po’, è
il pluri-stupratore
che miete vittime
nella cittadina in
cui vive Adam. Il
gesto riscuote una
grande eco, il ragazzo
diventa una sorta
di eroe e l’ultima
vittima del mostro,
Mona, entra a piccoli
passi nella sua vita.
Diciamo che, in fondo,
non si capisce un
granché di
cosa voglia essere
“Gardener of
Eden”. Del resto
pare essere questo
il grosso, irrisolto
e irrisolvibile, problema
del film. Passi l’oscillazione
cronica tra |
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commedia
(di
grana
grossa)
e interrogazione
sociale
(mai
critica,
mai
incisiva).
Passi
lo spessore
praticamente
nullo
dei
personaggi
secondari,
l’incapacità
di costruire
identità
che
non
si perdano
nel
grottesco,
esaurendosi
in una
manciata
di cliché.
Passi
la vacuità
con
cui
si mettono
in relazione
violenza
e vendetta,
sulla
scia
di recenti
opere
marcate
Stati
Uniti
(“Il
buio
nell’anima”,
“Death
Sentence”).
Ma a
forza
di |
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lasciar passare,
in mano non
resta nulla,
se non la
frivolezza
di uno sguardo
facilone e
mai credibile,
troppo distratto
a giochicchiare
con il flou
e la mdp.
Di Caprio
è tra
i produttori,
Erika Christensen,
già
vista in “Flightplan”
e “Traffic”,
è l’unica
segnalazione
positiva del
film.
(di Lorenzo
Donghi )
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recensione del
film "gardener
of eden"! |
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